Ci aspettavamo un uomo diverso, magari dal look un po’ zingaro o comunque meno “regolare”. Ci aspettavamo che tirasse fuori una pistola e la appoggiasse sul tavolo come ogni tanto gli capita di fare e invece incontriamo un elegante Nicolai Lilin, quasi professorale: un contrasto quasi straniante con l’immaginario mitologico che si è ritagliato nell’attuale panorama letterario. Solo i tantissimi, minuscoli o grandi, tatuaggi che gli segnano il collo e le mani e che sembrano spingere per uscire fuori dagli abiti, raccontano il suo passato e le sue mille vite tutte diverse: l’infanzia nel sud della Russia allevato dal leggendario nonno, la prigione, la guerra in Cecenia, la carriera da contractor internazionale, il presente in Italia come scrittore di successo, marito e padre (di una bimba), che in questi momenti vive le elezioni con la stessa partecipazione di un italiano doc, ma che all’uscita del primo romanzo si è ritrovato una bomba piazzata nella sua auto da parte di quei russi che lo reputano una sorta di Saviano.
Siamo sulla Terrazza Martini, a Milano, dove lui e Gabriele Salvatores stanno presentando il film Educazione siberiana (leggi qui la recensione), dal suo omonimo romanzo – in gran parte autobiografico – di maggior successo. Il film condensa le sue 350 pagine, focalizzandosi soprattutto sull’infanzia di Lilin presso la comunità Urka (deportata da Stalin dalla Siberia in Moldavia) dove Lilin è cresciuto e sul destino prima condiviso e poi separato di due giovani siberiani, Kolyma e Gagarin, divisi dalla prigione, dall’amore e infine riuniti dalla guerra. Gli mostriamo l’ultimo numero di Best Movie, su cui campeggia il Ryan Gosling dell’imminente Come un tuono, che lo cattura in modo quasi magnetico: «Mi piace molto questo attore. È bravissimo, con un modo molto particolare di interagire. Lo trovo proprio bello, con questo sguardo così intenso. Ho visto Drive due volte, questo articolo parla di Drive?» dice entusiasta. Gli raccontiamo la trama del nuovo film di Gosling, dove è un rapinatore tatuato, lui sfoglia la cover story e si sofferma sui suoi tattoo, sussurrando: «Belli!».
BEST MOVIE: Ci sono dei crime movie che ti hanno ispirato?
NICOLAI LILIN.: «Non mi aggancio ai film per la mia scrittura, ma ad esperienze di vita vissuta».
B.M.: Domanda di rito: ti è piaciuta la trasposizione di Salvatores del tuo romanzo?
N.L.: «Moltissimo. Sono molto fiero di aver partecipato. Ogni scelta fatta è stata da me condivisa e approvata, ma non sapevo come sarebbe stato reso sullo schermo ed è stata una piacevole sorpresa vedere quel mondo a cui sono così legato che si materializzava sotto i miei occhi».
B.M.: Come è stato Malkovich nei panni di tuo nonno?
N.L.: «Eccezionale. Ne ha reso l’essenza, la vocazione da maestro, la profondità. Non avrebbero potuto fare una scelta più azzeccata. Lui ha fatto suo il mio mondo con semplicità e naturalezza, come solo un grande attore sa fare».
B.M.: Quando ti hanno proposto la trasposizione hai avuto paura che il tuo romanzo venisse in qualche modo tradito?
N.L.: «Ero a dir poco terrorizzato. Avevo parlato con tutti i miei amici scrittori a cui erano stati trasposti i romanzi e nessuno di loro era contento della resa finale. In particolare uno mi ha confessato di essere disgustato della versione cinematografica del suo libro. Ovviamente, questa possibilità mi aveva gettato nel panico, facendomi rifiutare una precedente offerta, ma quelli della Cattleya sono stati molto bravi nel rassicurarmi sul fatto che senza di me sulla barca il film non si sarebbe fatto ed eccoci qui».
B.M.: Sei diventato una superstar, anche adesso si parla quasi più di te. Che cosa provi a riguardo?
N.L.: «Non è una cosa che mi faccia molto piacere, perché espormi non appartiene al mio modo di essere. Io cerco anche di farmi fotografare pochissimo i tatuaggi che ho sul corpo, a parte quelli delle mani e del collo che è impossibile nascondere, ma me lo chiedono insistentemente. Ma è importante rappresentare fisicamente quello che si fa, soprattutto quando come dicevamo prima è già difficile credere a quello che racconti e quindi io ci ho messo la faccia».
B.M.: Per lo stesso motivo segui personalmente le tue pagine di Facebook e Twitter? Chi ti scrive?
N.L.: «Mi piace moltissimo comunicare e ho tantissimi amici sulla mia pagina di FB. Ci sono tantissimi italiani, ma anche del resto del mondo. Ci sono anche dei fatti curiosi, perché mi scrivono dei gangster. L’ultima volta un gangster colombiano, un vero trafficante di droga, mi ha scritto per invitarmi nella sua villa a Bogotà, dicendomi che sono il miglior scrittore apparso in Colombia e che trova molte affinità con me. Mi fa piacere che anche in quegli ambienti che sono molto in contrasto con la mia filosofia che non accetta la droga ci siano persone che si avvicinino ai valori che racconto».
B.M.: Ti dà fastidio che molti ti diano del millantatore?
N.L.: «Ci sono esperti che mi scrivono per confermarmi che il mondo che racconto è proprio realistico e altri che invece mi dicono che l’ambiente che descrivo non ha nulla a che vedere con la Transnistria di allora, ma la differenza tra me e loro è che nessuno di loro ha realmente vissuto in quei posti mentre io sì. Quando ero piccolo ho chiesto a mio nonno di mostrarmi una tigre siberiana di cui mi aveva raccontato tante storie bellissime. Io volevo assolutamente vedere la tigre e così abbiamo passeggiato per giorni e giorni nei boschi senza mai trovarne una; e siccome avevo dieci anni ero un po’ ero deluso e così ho detto a mio nonno che non credevo più che esistesse e lui mi ha detto: “Nicolai, il fatto che tu non veda una cosa, non significa che non esista. Devi imparare ad essere meno arrogante e ad avere pazienza”».
B.M.: Qual è stato l’aspetto della tua storia che più ti interessava che Salvatores illustrasse?
N.L.: «Io volevo raccontare il mondo arcaico. Il mio affetto nei confronti della vita povera che ho vissuto da piccolo. La mancanza ci rendeva tutti uniti e anche più liberi e autentici. Ricordo con profonda nostalgia le mie estati con gli altri bambini quando giravamo senza scarpe a caccia di avventure».
B.M.: Rimpiangi anche il comunismo?
N.L.: «Qui in Italia abbiamo un politico che sostiene che i comunisti mangiano i bambini. A me nessuno mi ha mai mangiato da piccolo. Io ho una grandissima nostalgia per la grande Madre Russia, mi manca quel mondo e quei principi che ho imparato soprattutto da mia madre, nella cui casa studiavo l’enciclopedia di Lenin. Sempre mia madre mi ha accompagnato a un comizio di Gorbacev, che per noi è stato il primo dirigente onesto a governare il paese. Lui andava fisicamente verso il popolo ed emanava una bontà simile a quella di Gesù Cristo. Dopo di lui sono arrivate la guerra civile e la mancanza di cibo. Educazione siberiana è il mio Requiem a quel periodo felice».
B.M.: Quali sono le cose più belle che conservi di quel mondo perduto?
N.L.: «Il misticismo, i tatuaggi, ma soprattutto seguire i vecchi, come mio nonno e assorbire da loro il più possibile».
B.M.: Qual è stato il più grande insegnamento di tuo nonno?
N.L.: «Il senso della dignità. Per me è tutto. È facile perderla e non è possibile riaverla e vorrei che i nostri politici lo capissero. Ci sono tanti che la perdono ma continuano a comportarsi come se l’avessero. Per questo in Parlamento abbiamo tutti questi delinquenti e queste elezioni hanno mandato in crisi tutti».
B.M.: Ti è dispiaciuto che il film non sia stato girato nei veri luoghi da cui provieni, ma in Lituania?
N.L.: «La Lituania era la scelta più facile perché c’è una forte comunità russa, ma che è anche affacciata all’Occidente e che parla inglese. Abbiamo provato in Transnistria, ma la burocrazia sovietica è molto complicata e poi loro sono molto preoccupati dell’immagine. Pensano sempre che l’Occidente parli male di loro e a un certo punto mi è stato proprio detto che se non me ne fossi andato dal Paese mi avrebbero spaccato le gambe».
B.M.: Ci racconti un po’ del misticismo legato ai tatuaggi?
N.L.: «Il tatuaggio è una rappresentazione artistica che racconta chi sei, a quale casta appartieni e da dove vieni. Ne esistono di antichissimi, come quelli della mummia della Principessa Ukok, trovata in Siberia, che sono definiti e dettagliati in modo spettacolare. In Italia il tatuaggio era una pratica molto diffusa per raccontare la propria fede, ad esempio presso i pellegrini che si riversavano verso la Santa Casa di Loreto, ma il Vaticano impose una tassa ai danni del tatuato e del tatuatore e così fu bandito. Il tatuaggio ha una connessione molto forte con il crimine e con la religione che nella mia comunità erano fortemente intrecciate».
B.M.: Oltre ai tattoo c’è una grandissima attenzione alla scelta delle armi nel film, che tu hai curato personalmente ?
N.L.: «Io sono un grande appassionato di armi e quelle che appaiono nel film le ho scelte una per una. Anche grazie a queste scelte si ricostruisce la vita della mia comunità. Un mio carissimo amico, Enrico Gamba, che è un produttore di armi di lusso, di cui a casa mia posseggo molti esemplari decorati ed è un mio carissimo amico, ha partecipato molto a questo aspetto del film. È un elemento di verità all’interno della storia: la filosofia si concentra in un oggetto preciso».
B.M.: Oltre ad aver scritto il romanzo e la sceneggiatura nel film canti anche una canzone. È vero?
N.L.: «Sì, Gabriele e il compositore Mario Pagani mi hanno praticamente teso una trappola. Il Maestro è venuto a chiedermi di intonare la canzone popolare “Mama Sibir” (Mamma Siberia, NdR) perché non riusciva a trovarla da nessuna parte e così ho preso la chitarra e gliel’ho suonata mentre lui la registrava giusto per averla in memoria e poi la mia versione è quella che è rimasta nel film, anche perché si cercava proprio di creare l’effetto di una canzone cantata spontaneamente e non da un professionista. In effetti hanno fatto bene, perché se me l’avessero detto prima mi sarei preoccupato molto».
Qui sotto, due intensi scatti di Nicolai Lilin (di cui uno con Best Movie in mano!) e la dedica che lo scrittore ha fatto ai lettori della nostra rivista
© RIPRODUZIONE RISERVATA