L’attore Eddie Redmayne è giunto oggi a Torino per presentare il suo ultimo film, La teoria del tutto (qui la nostra recensione) in cui interpreta il famoso astrofisico Stephen Hawking, di cui il regista James Marsh raconta la difficile lotta contro la terribile malattia che lo affligge, combattuta anche attraverso l’amore che lega l’uomo alla moglie Jane (Felicity Jones). Durante la conferenza stampa di presentazione del film, l’attore ha spiegato com’è stato per lui affrontare questo progetto e ci ha svelato molti retroscena della lavorazione.
Come si è preparato per la parte? Ha incontrato Hawking, ha letto i suoi libri?
«Sì, ho letto Breve Storia del Tempo, anche se non posso dire di aver capito tutto, ho navigato su molti siti internet ma alla fine sono dovuto ricorrere al sito astronomyforkids.com per avere spiegazioni meglio comprensibili delle sue teorie. Anche io poi ho studiato a Cambridge e ho avuto modo di vederlo attorniato dai suoi studenti; lo venerano come se fosse una rockstar!»
Quando le hanno detto che avrebbe dovuto interpretare Stephen Hawking, ha avuto un po’ di paura?
«Il giorno dopo aver appreso di aver avuto il ruolo sono andato in una clinica specializzata nel trattamento della SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica) e una dottoressa, dopo avermi descritto la malattia nei minimi dettagli, mi ha messo in contatto con 30 pazienti e con le loro famiglie; sia per me che per Felicity (Jones, che interpreta Jane nel film n.d.r) infatti era molto importante capire, al di là della malattia in sé, quale fosse il costo a livello emotivo che una patologia di questo genere comporta e le sue conseguenze sulla vita familiare. Abbiamo visto poi molti documentari, tutti quelli disponibili in internet a riguardo, ma il passo più importante è stato conoscere personalmente Stephen, Jane e i loro figli; Stephen in particolare è dotato di un carisma e di una forza d’animo davvero notevoli, è stato un onore poterlo incontrare».
Che tipo lavoro ha sostenuto fisicamente? E’ vero che ha lavorato con una coreografa?
«Non avendo girato il film in ordine cronologico è capitato\ che nello stesso giorno di riprese dovessimo girare scene che nel film coprono fasi temporali diverse e quindi stadi differenti dell’evoluzione della malattia; per me era fondamentale avere prima un’idea di tutto il decorso che Stephen ha subito. È stato però subito chiaro che nella vita di Stephen la malattia ha un ruolo secondario e inoltre la storia che abbiamo voluto raccontarvi non riguarda la malattia di Hawking ma è la storia di un rapporto umano tra due persone, una storia d’amore.
Ho lavorato con Alexandra Reynolds, una balleria con la quale ho fatto un addestramento muscolare per capire quali muscoli dovessi usare per sostenere determinate posizioni, quindi ho imparato ad accorciare dei muscoli, ad attivarne alcuni che di solito non utilizziamo volontariamente e cosi’ via. Per quanto riguarda l’espressione facciale ho recuperato su internet tutto il materiale disponibile e in maniera forse non molto ortodossa mi sono messo di fronte allo specchio con il tablet a fianco per cercare di capire come isolare un determinato muscolo facciale e inibirne degli altri».
Il film non è soltanto una storia d’amore, ma una storia di amori, giusto?
«Leggendo la sceneggiatura l’ho trovata davvero uno studio sull’amore, sulle differenti possibilità di amare che ognuno di noi ha nella vita. Non parlo soltanto nella distinzione tra l’amore giovanile e quello passionale, adulto, ma anche dell’amore per la materia che si studia, quindi quello per la fisica di Stephen o per la poesia di Jane, gli affetti familiari, ma anche i limiti dell’amore i fallimenti che questo sentimento comporta».
Quale feedback ha ricevuto il film dalla famiglia di Hawking?
«Jonathan, Stephen, Jane e i loro figli e sono stati davvero generosi nei nostri confronti; Felicity e io eravamo tesissimi per aver interpretato persone non soltanto reali ma ancora in vita, ma tutti loro ci hanno dato tutto il massimo sostegno. Stephen ci ha addirittura permesso di utilizzare la voce proveniente dal suo sintetizzatore che è coperta da copyright; avevamo già realizzato una nostra versione approssimata ma questo dono meraviglioso ci ha consentito di avvicinarci ancora di più ad una rappresentazione credibile dei fatti».
Come si sentiva a dover interpretare un personaggio così pieno di contrasti, dover interpretare u uomo dal corpo inutilizzabile ma dotato di un cervello da genio?
«Mi sono sentito estremamente fortunato: come dicevo prima sono stato in contatto con molte persone affette da questa patologia e loro la descrivono come una prigione le cui pareti si restringono sempre di più; ho dovuto girare in posizioni molto disagevoli ma io ogni sera avevo la fortuna di potermi alzare da quella sedia a rotelle e di tornare a casa, non posso neanche immaginare quale possa essere la realtà di tutto ciò».
Qual è la sua personale teoria del tutto?
«Quando lavoro in teatro mi capita di stare in scena con la stessa pièce per diversi mesi e ogni sera sul palcoscenico cerco di migliorare sempre un’interpretazione che non sento mai essere completamente giusta, cerco di tendere verso la perfezione senza mai riuscirvi. Quindi per me la teoria del tutto è imparare ad apprezzare questo processo, questo tendere verso la perfezione tipico di tutti gli esseri umani, consapevoli però di non poter essere in grado di raggiungerla».
Il film è molto british, e in particolare ci sono diversi riferimenti a Doctor Who; come mai?
«È tutto merito dello sceneggiatore: Doctor Who è un’istituzione britannica per definizione, è una serie che guardavo molto più da ragazzo di quanto non faccia adesso ma conosco Matt Smith e David Tennant ed è meravigliosa, lo sceneggiatore ha avuto un’idea geniale. Tra l’altro la scena in cui Stephen finge di imitare un Dalek è stata una delle più divertenti da girare!»
Programmi per il futuro?
«Il progetto che sto preparando adesso è un nuovo film diretto da Tom Hooper, con il quale ho giàlavorato per Les Miserables, si intitola The Danish Girl ed è la vera storia del primo uomo che si trasforma in una donna, un progetto molto interessante».
La teoria del tutto uscirà nelle sale italiane il 15 gennaio 2015.
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