Nino Scotellaro (un Luigi Lo Cascio mai così bolso e sgradevole), pubblico ministero siciliano che ha dedicato tutta la sua vita alla lotta contro la mafia, improvvisamente viene accusato di essere uno di coloro che ha sempre combattuto: un mafioso. Dopo la condanna, senza più nulla da perdere, Nino decide di mettere a segno un machiavellico piano di vendetta, diventando il “bad guy” in cui è stato ingiustamente trasformato.
Presentata in anteprima mondiale, Fuori Concorso, al 40° Torino Film Festival e prodotta da Indigo Film con Amazon Studios, The Bad Guy è una serie in sei episodi diretta da Giuseppe G. Stasi e Giancarlo Fontana (Metti la nonna in freezer, Bentornato Presidente), creata e scritta da Ludovica Rampoldi, Davide Serino e Giuseppe G. Stasi, che maneggia il mondo della mafia con un approccio pop sregolato e dinamitardo, di straordinaria libertà espressiva in bilico tra i registri. Muovendosi a cavallo dell’equilibrio sottile tra il tragico e il burlesco, tra la denuncia acida e la leggerezza più scanzonata e sopra le righe, il serial trova così un tono tutto suo e una cifra e una misura se non originali quantomeno peculiari (ed è già tantissimo: ne ve parlavamo più nel dettaglio QUI nella nostra recensione dei primi episodi, in arrivo partire da domani su Prime Video).
«Avevo già sperimentato il trucco con Noi credevamo, che come in questo caso durava quasi quattro ore e mezzo – cinque ore. Le mani dei parrucchieri sono così garbate e l’orario così mattiniero – si va sul set alle quattro – che è bello addormentarsi – ha raccontato Luigi Lo Cascio, interprete di un celebre magistrato che lavora nel pool antimafia di Palermo ed è noto per i suoi metodi anti-convenzionali, in conferenza stampa al Torino Film Festival – Al Teatro Politeama di Palermo, dove giravamo una scena, mi ero appena trasformato in una persona molto piena e in carne, e spero anche lontana da me. In un pausa, in un teatro pieno di persone e comparse, si è avvicinata una signora che poteva avere l’età di una mia zia e mi fa: Signor Lo Cascio, io la seguo da tanto tempo ma ridotto così male non l’avevo vista mai! Capisco il lavoro, capisco tutto, ma lei deve stare attento. Per lo stress e il lavoro uno comincia a bere, a prendere le pillole, e riduce nel modo suo. Questa cosa non mi sembra abbia a che fare col mangiare, ma col bere e la farmacia».
«I temi sono grandi e siamo nel campo della mafia ma il divertimento e la vivacità di quello che succede sono talmente forti che, pur avendo a che fare con le cose drammatiche che conosciamo molto da vicino, c’è una libertà d’espressione che fa sì che la serie possa essere vista come un dramma shakespeariano dove non ti chiedi se è ambientato nella Scozia di Macbeth o nella Venezia di Otello, ma là c’è il demonio però e dappertutto può capire d’incontrare personaggi molto forti per stoffa caratteriale e per apporto espressivo dell’attore, un dato che mi ha attratto moltissimo. Tra le grandissime forma di libertà che si sono presi gli autori, i registi e i produttori c’è anche la voglia di far parlare ai personaggi la propria lingua: io per esempio a un certo punto parlo in palermitano molto stretto, come avevo già fatto ne Il traditore».
«A teatro è più chiara la dimensione della maschera. Se faccio Jago nessuno poi viene in camerino a chiedermi se sono davvero cattivo, la posi lì. Al cinema invece è come se si entrasse in un regno in cui devi sempre dire qualcosa di personale. Qui all’inizio il personaggio rappresenta il bene, ma per via della sua professione sconfina nel regno del male, lo possiede anche linguisticamente. Quindi indossa quasi teatralmente la maschera della cattiveria, per entrare in un mondo lui si finge cattivo, e la cosa interessante per lo spettatore sarà capire – anche in termini di gioco attoriale – se c’è una fascinazione per il male, se quella maschera a poco a poco si scioglierà per confondersi coi tratti del volto. Per saperlo, bisognerà vedere la serie».
«La mia è più una trasformazione interiore, il mio personaggio fuori è semplice e determinata, oltre che capace, brusca e una grande professionista – ha detto invece la co-protagonista Claudia Pandolfi, interprete di Luvi, figlia del mentore di Nino, un giudice ucciso in un attentato su ordine del boss dei boss Mariano Suro, mandante di centinaia di omicidi, latitante e apparentemente imprendibile – A differenza del papà, compianto magistrato vittima di mafia, e del marito, lei i criminali ha deciso di difenderli. Ha un mondo interiore molto sfaccettato».
Ha aggiunto il regista Giuseppe G. Stasi, descrivendo la realizzazione: «Io e Giancarlo Non siamo in gradi di essere seri, è un problema, una cosa molto delimitante. Ludovica e David (gli sceneggiatori Rampoldi e Serino, ndr) hanno captato questa nostra incapacità e ci sono venuti incontro. Siamo partiti dal cazzeggio, come si diceva ai tempi di Age e Scarpelli, prima che si dicesse brainstorming. Parlavamo in egual misura di quella cosa successa al magistrato Giovanni Falcone, della famiglia che compra un’acqua park, della scena dei Simpson con l’orca, del discorso funebre di BoJack Horseman. Poi diventavamo seri, cominciando a parlare di struttura, ma quando scrivevamo veniva fuori quanto detto in quell’ora di cazzeggio». Gli fa eco Giancarlo Fontana: «La sceneggiatura era talmente bella che io e Giuseppe potevano solo rovinarla e peggiorare le cose. Per quanto ci siamo impegnati molto, la base di partenza era molto alta, per cui deciderà il pubblico!».
«Fare una commedia non significa trattare temi leggeri con un approccio leggero, ma affrontare le cose più drammatiche, indicibili e misteriose, le ferite ancora aperte per così dire, con un tono a volte leggero, scanzonato, sopra le righe, e la loro regia ci consente di scrivere in un modo più sicuro perché riesce a bordeggiare il grottesco senza mai finirci davvero dentro, ma rimanendo sempre ancorati al realismo – ha spiegato invece la sceneggiatrice Ludovica Rampoldi, abituata con Serino a maneggiare l’intreccio tra politica e magistratura in Italia già nel mondo della serialità (tra i loro lavori insieme troviamo le serie 1992, 1993 e 1994 e la più recente Esterno notte di Marco Bellocchio – Su questa storia di mafia, che può essere letta anche in modo soltanto drammatico e più canonico, abbiamo instillato un tono drogato e sopra le righe. Il nostro eroe è un cialtrone in fondo, fa il bene per nutrire con vanità un ego dal narcisismo smisurato. Forse desacralizzare il bene è un primo passo per riuscire a ricostruirlo quotidianamente». Riferisce invece in aggiunta a ciò lo sceneggiatore Davide Serino: «La morale è centrale nel racconto, ma l’abbiamo drogata con estremizzazioni e forzature affrontate di petto».
A completare il cast troviamo anche Vincenzo Pirrotta, Selene Caramazza, Giulia Maenza, Antonio Catania, Fabrizio Ferracane, Alessandro Lui, Antonio Zavatteri, Francesco Zenzola, Ivan Giambirtone, Enrico Lo Verso, Guia Jelo e Bebo Storti. La serie, in copertina sul numero di dicembre di Best Streaming (tutti i dettagli li trovate in fondo all’articolo), è prodotta da Nicola Giuliano, Francesca Cima e Carlotta Calori per Indigo Film con Amazon Studios, e sarà disponibile in esclusiva su Prime Video in oltre 240 Paesi e territori nel mondo dall’8 dicembre con i primi tre episodi, mentre le ultime tre puntate saranno disponibili dal 15 dicembre.
Foto: Indigo Film, Amazon Studios, Paolo Ciriello
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