Due anni trascorsi a pattugliare le strade nei panni di Batman (Robert Pattinson), incutendo timore nel cuore dei criminali, hanno trascinato Bruce Wayne nel profondo delle tenebre di Gotham City. Potendo contare su pochi fidati alleati – Alfred Pennyworth (Andy Serkis) e il tenente James Gordon (Jeffrey Wright) – tra la rete corrotta di funzionari e figure di alto profilo della città, il vigilante solitario si è affermato come unica incarnazione della vendetta tra i suoi concittadini.
Una scia di indizi criptici spinge il più grande detective del mondo a indagare nei bassifondi, incontrando personaggi come Selina Kyle alias Catwoman (Zoë Kravitz), Oswald Cobblepot alias il Pinguino (Colin Farrell), Carmine Falcone (John Turturro) e Edward Nashton alias l’Enigmista (Paul Dano). Mentre le prove iniziano a condurlo più vicino alla soluzione e la portata dei piani del malfattore diventa chiara, Batman deve stringere nuove alleanze, smascherare il colpevole e rendere giustizia all’abuso di potere e alla corruzione che da tempo affliggono Gotham City.
Un Batman come quello portato al cinema dal regista Matt Reeves in The Batman non si era mai visto prima, e tale tratto inedito è un punto di partenza di fondamentale importanza. Il regista di Cloverfield, uno dei titoli cruciali sull’elaborazione dell’11 settembre, dopo i due capitoli de Il pianeta delle scimmie è tornato infatti a dare ossigeno all’idea di blockbuster contemporaneo, erigendo una mitologia cinematografica nuova di zecca intorno all’Uomo Pipistrello di Gotham.
In The Batman ci si muove infatti al di fuori del DC Extended Universe e la cupezza che abbiamo imparato ad associare a più riprese a quell’ecosistema narrativo non sempre baciato dalla sorte tocca finalmente delle vette meritorie, tanto per respiro narrativo quanto per compiutezza del lavoro sulle immagini, che abbracciano anche la carnalità delle graphic novel (l’ispirazione è la serie di fumetti The Long Halloween, pubblicata da DC Comics tra il 1996 e il 1997). Il film si apre – in maniera inusuale, annaspante, fin da subito spiazzante – con una soggettiva che è anzitutto una dichiarazione di sguardo, uno sposare una causa, una precisa presa di posizione addirittura politica sul Cavaliere Oscuro, a misura tanto di intimismo quanto di universalità della condizione umana.
Questo Batman agli albori della sua carriera come Vigilante è infatti anzitutto un detective in erba e il focus è tutto su di lui, sulle sue indagini e sui traumi del passato che ne hanno decretato con macabra solennità il posto nel mondo e l’incedere grave, quasi funerario, del passo e dei gesti. Ci viene presentato come un animale notturno ma anche come un giovane uomo dall’eredità frastagliata, scivolosa e contraddittoria: una scheggia impazzita dall’identità frammentata e dispersa, sbriciolata da mille ferite già acquisite e altrettante ancora da sperimentare sulla sua corazza. Alla ricerca di un’espiazione forse impossibile, se non sotto forma di cicatrici con le quali scendere a patti per arrivare a una trasformazione che vada oltre la totale e ottusa identificazione col concetto di Vendetta e diventi “qualcosa di più”.
Robert Pattinson lo incarna alla perfezione, riuscendo a essere un perfetto volto anche generazionale per il personaggio. Smunto e scavato, con qualche evidente cenno emo nella capigliatura, regge magnificamente l’eredità dei tanti interpreti passati del ruolo dandogli una nuova luce, forse mai così opaca e malsana, perfettamente in linea con un film che non è solo la sua origin story ma anche quella di tutti i personaggi che lo affiancano, dai nemici in rampa di lancio alla sodale Catwoman, interpretata con traboccante e torbida sensualità felina da Zoë Kravitz (altra magnifica scelta di casting).
Le sue scene senza maschera e mantello non sono moltissime, ma l’attore britannico le regge tutte coniugando metodo e istinto brutale. Lavora in sottrazione e recita ora con la sola forza dei suoi occhi a tratti lacrimosi ma sempre rigidissimi e impassibili, anche nella commozione e anche quando sono l’unica parte visibile del volto, ora puntando tutto sulla mascella serrata e su una smorfia di sofferenza dolente e squadrata. Intorno, va detto, ha l’apparato e lo sfoggio di mezzi delle grandi occasioni: un paio di sequenze, in primis il volo dalla torre e l’inseguimento forsennato e incendiario in automobile, sono da antologia dell’action odierno, e spingono l’asticella un po’ più in là, mentre la colonna sonora di Michael Giacchino è perfettamente raccordata con le traiettorie cadenzate e mortuarie del protagonista.
The Batman è però prima di tutto e soprattutto un noir. Rispetto alla muscolarità esibita di Christopher Nolan, la cui trilogia fa sentire anche qui la sua incancellabile e pachidermica eredità, gli elementi hard boiled della sceneggiatura, piena non a caso di frasi smozzicate, pregnanti ma mai sentenziose, sono accentuati fino a raggiungere un inedito punto di deflagrazione, alieno fin qui a tutti i Batman concepiti per il grande schermo. Un contraltare perfetto per i tanti, tantissimi demoni del giovane Bruce, di una fragilità quasi vertiginosa, che guarda sfacciatamente agli immaginari polverizzati di David Fincher e fa piazza pulita tanto della vena visionaria di Tim Burton quanto degli eccessi kitsch di Joel Schumacher, per non parlare di come spazza via con un colpo d’ali la monumentalità dai piedi d’argilla di Zack Snyder.
Come prima pietra angolare di un futuro universo narrativo, The Batman ha tutti i crismi del caso, con un durata mostre di tre ore che tuttavia non è mai un cappio né si fa accusare particolarmente, eccezion fatta per qualche caratterizzazione che viene un po’ trascinata via dall’apparato spettacolare, sopravvivendo sotto forma di detrito un po’ trascurabile (il Pinguino di un irriconoscibile Colin Farrell, in primis). Quasi tutti i personaggi servono però a meraviglia la loro doppiezza simbolica, alimentando chiaroscuri e contrasti psicologici, con una menzione d’onore per l’inafferrabile, irriverente e fantasmatico Enigmista di Paul Dano, che in The Batman vive soprattutto attraverso i device digitali, riserva i suoi indovinelli, unico antidoto per imbrigliare, decodificare e infine elevare a potenza i mali del mondo, in dei live stream e ha solo 500 follower, sì, ma tutti agguerritissimi (per non parlare della sua “esecuzione” – da brividi – dell’Ave Maria di Schubert).
Il personaggio al quale Reeves sembra concedere più attenzione è però la città, Gotham City, con una magniloquenza su larga scala che neanche il Joker di Todd Phillips aveva voluto osare: uno spazio urbano che tiene letteralmente tutto insieme, volti e concetti, astrazioni e metafore, simbologie labirintiche e putrido malaffare. Un crogiolo di pioggia ininterrotta, ipocrisie politiche e morali, colpe ataviche pronte a spazzare via tutto sotto forma di esondanti tsunami e isolati e sparuti tramonti, affogati in un romanticismo che a sua volta non si fa mancare nulla, da Something in the Way dei Nirvana a delle spettrali corse in moto, fianco a fianco, in cimiteri gotici deliberatamente british, fino al termine della notte (o, per meglio dire, all’alba di una nuova saga).
Foto: Warner Bros.
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