Il 30 agosto arriva nelle sale italiane The Equalizer 3 – Senza tregua, terzo capitolo della saga con protagonista Denzel Washington, anche questa volta diretto da Antoine Fuqua. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare le novità di questa nuova avventura del samurai moderno.
«Ero giovane e un po’ intimidito da lui, che era già una grande star di Hollywood, mi sembrava di lavorare accanto a Michael Jordan», ricorda Antoine Fuqua del primo giorno di riprese di Training Day (2001), il dramma poliziesco che lo ha consacrato come regista e ha fatto vincere a Denzel Washington un Oscar. «A un certo punto della giornata gli ho proposto di rivedere
il filmato di ciò che avevamo girato, ma lui mi ha risposto: “No, sei tu il pilota di questo aereo”. Si è fidato di me. È questo che ammiro di attori come lui lavorano al massimo livello e danno per scontato che tu farai lo stesso». Da allora, Fuqua e Washington sono diventati non solo amici, ma anche frequenti collaboratori.
The Equalizer 3 – Senza tregua è il quinto film che hanno girato insieme: gli altri tre sono i precedenti capitoli della saga e il remake de I magnifici sette (2016). In questo film conclusivo della trilogia, avente per protagonista Robert McCall (Washington), l’assassino governativo riconvertitosi velocemente come protettore degli emarginati entra in scena che si è stabilito sull’idilliaca costiera amalfitana, deciso a condurre una vita tranquilla. «Il suo migliore amico è stato assassinato e la sua squadra lo ha tradito, e prima ancora ha perso la moglie, quindi è solo e tormentato», spiega il regista. «Si sente vecchio e aspira a trovare un posto nel mondo lontano dalla violenza». I suoi piani, naturalmente, vengono vanificati quando scopre che i suoi vicini sono controllati e minacciati dai brutti ceffi della criminalità locale. Le circostanze lo costringono a sporcarsi le mani di sangue ancora una volta, anche se, nota Fuqua, qualcosa è cambiato: «Questa volta gli scoppi di brutalità sono meno stilizzati, più asciutti e realistici. E più terrificanti».
Questa è la prima delle avventure cinematografiche di McCall a svolgersi al di fuori degli Stati Uniti e, secondo il regista, il cambio di location ha perfettamente senso: «Se altre spie internazionali come James Bond o Jason Bourne viaggiano per il mondo, ha senso che lui faccia lo stesso». La decisione, aggiunge, gli ha dato l’opportunità di conoscere i metodi della temuta Camorra, che opera nella regione. «Conosco diverse organizzazioni criminali e ciò che mi ha colpito particolarmente di questa è che, in generale, i suoi membri sono estremamente giovani. Per questo motivo, e anche perché abusano di droghe, sono particolarmente aggressivi e non rispettano alcun codice di comportamento. Anche gli altri mafiosi in Italia li vedono come dei barbari».
Nel suo insieme, la trilogia di The Equalizer invita a essere intesa come un grido furioso contro l’autorità. E, in effetti, lo stesso si può dire dell’intera filmografia del regista, che comprende anche titoli come Brooklyn’s Finest (2009) ed Emancipation – Oltre la libertà (2022). Da dove viene questo spirito sovversivo? «Sono cresciuto in un quartiere difficile e sono il maggiore di sei fratelli, quindi ho dovuto prendermi cura di tutti – spiega Fuqua – Odio le persone che abusano del loro potere e non mi interessa da che parte della legge stiano». Attribuisce questo atteggiamento anche all’esempio ricevuto da sua nonna: «Era una donna di colore in un Paese e in un’epoca particolarmente razzista, e non si è mai lasciata intimidire da nessuno. Quando vedeva dei tipi pericolosi e violenti aggirarsi per la nostra strada, prendeva un manico di scopa, usciva, li sgridava e li cacciava via senza esitazione. Era una donna forte e mi ha insegnato molto».
Da quella donna, e dai film che guardava con lei da bambino, ha assorbito anche quello stesso amore per il cinema che in seguito lo ha portato a contatto con le opere dei registi da cui si sente più influenzato, tra cui Sergio Leone e, soprattutto, Akira Kurosawa: «Oserei dire che il principale punto di riferimento per l’intera trilogia è I sette samurai (1954) perché, come i protagonisti del capolavoro di Kurosawa, Robert McCall è un guerriero errante che rischia la vita per difendere chi non può difendersi da solo e senza aspettarsi nulla in cambio».
Vale la pena ricordare che I magnifici sette (1960), che ha ispirato l’omonimo western di Fuqua, era a sua volta un remake de I sette samurai. «Kurosawa ha sempre realizzato film che mettono in discussione il comportamento umano e la morale dominante, e che mettono in relazione la violenza con l’onore, la dignità e il coraggio. Per me è la cosa più vicina a Shakespeare che il cinema abbia, e prenderlo come modello è qualcosa che non posso evitare».
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