The Last Stand, intervista ad Arnold Schwarzenegger: «A 65 anni corro sui tetti, guido a 300 all'ora e sollevo 250 chili!»
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The Last Stand, intervista ad Arnold Schwarzenegger: «A 65 anni corro sui tetti, guido a 300 all’ora e sollevo 250 chili!»

Abbiamo incontrato a Roma l'ex Governatore della California, che ci ha parlato del suo nuovo action movie, di quanto solleva al bilancere, e del fatto che al cinema non ha nessuna intenzione di alzare bandiera bianca ancora per un bel po'...

The Last Stand, intervista ad Arnold Schwarzenegger: «A 65 anni corro sui tetti, guido a 300 all’ora e sollevo 250 chili!»

Abbiamo incontrato a Roma l'ex Governatore della California, che ci ha parlato del suo nuovo action movie, di quanto solleva al bilancere, e del fatto che al cinema non ha nessuna intenzione di alzare bandiera bianca ancora per un bel po'...

Sigaro in mano, anello a forma di teschio di dimensioni esagerate (tanto che a un normale essere umano coprirebbe l’intera mano), sorriso smagliante e abbronzatura californiana. Arnold Schwarzenegger è a Roma per presentare The Last Stand, il thriller-western che segna il suo ritorno in grande stile come protagonista del cinema action hollywoodiano (leggi la nostra recensione). E dal vivo è esattamente come te lo immagini, un’icona vivente, un eterno giovane che non ha perso il fisico da culturista nonostante i sessantacinque anni compiuti. Veterano delle interviste, è pronto a rispondere alle nostre domande con tranquillità e precisione. Ed è subito chiaro che lo spirito da governatore non l’ha abbandonato al termine del mandato.

Le sensazioni del suo fisico sono cambiate con il ritorno al cinema action dopo gli anni passati come governatore della California?
«A sessantacinque anni mi sento benissimo! Per me è stato fantastico ritornare sulla scena. Il vantaggio che ho avuto, come per Sylvester Stallone, Bruce Willis, Chuck Norris, Jean-Claude Van-Damme, è la possibilità di potermi allenare tutti i giorni. Per questo è difficile rimpiazzare action heroes come noi. Van-Damme è esperto di arti marziali, Stallone sa come prenderti a pugni e calci, io sono ancora in forma e posso sollevare 250 kg senza problemi, le persone sanno che siamo ancora in grado di farlo, e che nessuno lo fa come noi. Così quando arrivo sul set, anche se ho sessantacinque anni, e devo fare un film d’azione sono in forma, e so che posso fare queste cose con tranquillità. È vero che il corpo non recupera così velocemente come quando ero più giovane, ma posso comunque fare tutte le scene d’azione che facevo un tempo, come correre sui tetti, saltare, sparare, sfrecciare con la macchina a 300 chilometri orari fra i campi di grano.. e così via. Sono molto grato dell’opportunità che ho avuto di tornare a girare film d’azione, per me è qualcosa di estremamente divertente! Ed è molto diverso dalla carriera politica. Da Governatore ti occupi di argomenti seri e hai molti problemi e questioni da risolvere, grazie al cinema invece, anche alla mia età, puoi tornare ad essere un bambino».

Quanto ha in comune con il personaggio che interpreta?
«In The Last Stand sono Ray Owens, un ex agente della narcotici che si è ritirato per fare lo sceriffo in una tranquilla cittadina del Texas. Lui è una persona che pensa ad andare in pensione. Ecco, io non ho assolutamente intenzione di andare in pensione! Ray è un uomo forte, ma vulnerabile, a causa delle esperienze da poliziotto che ha vissuto a Los Angeles, e all’improvviso – come spesso accade nella vita – si ritrova a fronteggiare una situazione che non sa se è in grado di poter affrontare, ma scavando nel profondo ritrova quel suo spirito eroico che lo aiuta a risolvere il problema. Prima di convincere gli altri deve convincere se stesso che ha le potenzialità e la forza per affrontare questo pericoloso criminale. Questo aspetto della sua personalità è quello che mi è piaciuto di più sviluppare».

Com’è cambiato secondo lei il cinema in questo periodo in cui è stato lontano dalle scene?
«Io credo che le persone vogliano sempre vedere film buoni e storie altrettanto valide. Questo non cambia mai, a cambiare è il business. Dieci anni fa avrebbero speso 100 milioni di dollari per un film d’azione, ora un film simile si fa con 45 milioni di dollari. Questo perché c’è un’economia diversa, i film rimangono per meno tempo in programmazione al cinema e questo ha comportato un ridimensionamento dell’investimento in fase di produzione. Tutto è molto più rapido e c’è la tendenza a internazionalizzare i film, che non rimangono più a Hollywood. Ricordo che agli inizi della mia carriera se avessi detto: “Andiamo a promuovere Conan il Barbaro in Giappone” mi avrebbero tutti riso in faccia. Ora è diverso, si tende a internazionalizzare la distribuzione. In passato al massimo si promuoveva un film a Cannes e si tornava di corsa negli Stati Uniti: ora, specialmente da quando si ragiona nell’ottica di un’economia globale, e di un indice di gradimento internazionale, anche i tour promozionali sono diversi. Ci sono molti più produttori indipendenti e molti più film vengono dall’Europa. Vent’anni fa era impensabile che un film straniero trionfasse al botteghino e vincesse i Golden Globe o gli Oscar. Hollywood non detiene più il lucchetto della serratura, né il predominio mondiale sulla produzione cinematografica. Sono molto contento perché sono europeo, quando ero governatore della California però dovevo pensare a tenere i film in territorio statunitense, lì era più complicato!»

Una costante di The Last Stand sono le armi: c’è addirittura un museo loro dedicato che si trasforma in un arsenale. Che cosa ne pensa del recente decreto di Obama sulla limitazione dell’uso delle armi da fuoco negli Stati Uniti d’America? È d’accordo con il Presidente?
«Credo che il Presidente Obama non abbia cercato di affrontare la questione da un solo punto di vista, ma di analizzare la problematica nella sua interezza. Sono d’accordo sulla proposta che si basava appunto nell’analizzare in maniera approfondita il problema, comprendendo oltre alla limitazione delle armi da fuoco anche lo studio dei comportamenti psicologici alla base delle stragi, l’ampliamento della sicurezza nelle scuole e l’incentivare l’educazione dei propri figli da parte dei genitori. Dobbiamo fare il possibile per far sì che queste tragedie non si ripetano, è nostro dovere nei confronti delle vittime e dei genitori di queste ultime prevenire altri fatti simili, e questo è un discorso valido non solo per gli Stati Uniti ma anche per il resto del mondo».

Nella sua incredibile carriera ha un film, o un ruolo, che rimpiange di aver rifiutato?
«Sì, mi viene in mente un film che ha girato Nicolas Cage, The Rock. Rifiutai il ruolo perché Jerry Bruckheimer, e il suo partner nella produzione, vennero da me con ottanta pagine di sceneggiatura pessima e gli dissi di tornare con una sceneggiatura diversa, perché volevo lavorare con loro, ma non così. Ma si sono sentiti insultati! Hanno rifatto lo script, ma poi hanno assunto Nicolas Cage! Delle volte si prendono decisioni buone e altre volte meno buone. Fare i film è come tutte le cose della vita: hai dei vincitori e dei vinti, ci sono dei film che arrivano alle stelle e altri che finiscono nelle stalle. La chiave di tutto è che se si cade, il massimo da cui puoi cadere è dalla sedia al pavimento, ma ti rialzi di nuovo e ricominci. “Non aver mai paura di cadere” questo è quello in cui ho sempre creduto».

Foto: Getty Images

 

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