The Lodge, la recensione dell'horror familiare di Veronika Franz e Severin Fiala
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The Lodge, la recensione dell’horror familiare di Veronika Franz e Severin Fiala

Arriva oggi nelle nostre sale l'esordio in lingua inglese dei cineasti austriaci, già registi dell'incubo familiare Goodnight Mommy

The Lodge, la recensione dell’horror familiare di Veronika Franz e Severin Fiala

Arriva oggi nelle nostre sale l'esordio in lingua inglese dei cineasti austriaci, già registi dell'incubo familiare Goodnight Mommy

Riley Keough in The Lodge
PANORAMICA
Regia (2)
Interpretazioni (2.5)
Sceneggiatura (1.5)
Fotografia (2.5)
Montaggio (2)
Colonna sonora (1.5)

Mia e Aiden sono fratello e sorella, lei poco più di una bambina, lui un adolescente, e da poco hanno perso la madre. Da sei mesi vivono con il padre Richard (Richard Armitage), il quale vorrebbe che i figli conoscessero meglio la nuova fidanzata Grace (Riley Keough), di diversi anni più giovane e con alle spalle un passato traumatico. Per Natale Richard organizza una vacanza in una casa isolata nei boschi, ma viene richiamato in città da un impegno: rimasti soli, Mia, Aiden e Grace sono costretti a passare il tempo insieme, circondati dalla neve e dentro una casa caricha di misteri e tensione.

I registi austriaci Veronika Franz e Severin Fiala, rispettivamente moglie e nipote del cineasta loro connazionale Ulrich Seidl, regista da festival celebre per la sua provocatoria e urticante scorrettezza morale, sono gli autori di Goodnight Mommy, incubo sulla maternità di geometrica ferocia familiare. Un film che puntava tutto su un’idea di crudeltà esibita e sfacciata, che viveva anche e soprattutto delle coordinate di una messa in scena giocata al rialzo nel tentativo, in quel caso riuscito, di produrre più di uno shock nello spettatore. 

The Lodge, il loro nuovo lungometraggio che ne segna anche l’esordio in lingua inglese, ripropone in maniera abbastanza fiacca e stiracchiata le prerogative della loro precedente sortita dietro la macchina da presa. Un po’ come in Hereditary – Le radici del male, film di due anni fa del nuovo talento dell’horror statunitense Ari Aster, ci muoviamo in un contesto familiare alienante in cui gli ambienti e i suoi abitanti sono provvisti di un doppio spettrale e miniaturizzato, una riproduzione in scala dalle finalità elusive e metaforiche nient’affatto sottili. 

Una soluzione che però, proprio come tutto l’arco narrativo della storia, fatica terribilmente a stupire e si adagia su stilemi del terrore fin troppo usurati e stereotipati (il confronto con l’eccellente film con protagonista Toni Collette, tra l’altro, non gli giova per niente). La realtà in cui veniamo immersi è fin da subito piuttosto slabbrata e impossibile da afferrare, con più di uno strisciante senso di colpa a fare da collante e spingere il rimosso delle vicenda verso delle ricadute spirituali che appaiono però più velleitarie che di sostanza. 

Nonostante delle buone premesse sul piano formale, che si traducono in una confezione non certo lasciata al caso, col passare dei minuti The Lodge, girato in Québec e scritto dai registi con Sergio Casci, disperde così le proprie potenzialità tra tempeste di neve, jumpscare assortiti e passi a vuoto (nel buio), finendo col rientrare in quel territorio ibrido e selvaggio in cui molti horror contemporanei finiscono con lo smarrirsi, confondendosi gli uni con gli altri. Nel caso di The Lodge causa di un’evidente mancanza, se non di originalità (si tratta dopotutto di un film che tenta di ricorrere al dipinto L’Annunciata di Antonello da Messina), quantomeno di un concept in grado di fare la differenza. 

A tenere in piedi la sospensione dell’incredulità e la tenuta psicologica di molti passaggi ci pensa però la protagonista Riley Keough, già vista in Mad Max: Fury Road e American Honey, che si conferma uno dei volti femminili più interessanti della sua generazione e una scream queen che avrebbe sicuramente meritato miglior sorte. Tra le note positive da segnalare anche la fotografia, abile nel gestire diverse sfumature di asettica glacialità, del greco Thimios Bakatakis, già collaboratore in passato del più celebre cineasta del suo paese, ovvero Yorgos Lanthimos.

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