The Seed of the Sacred Fig: una finestra sull'abisso del popolo iraniano. La recensione da Cannes 2024
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The Seed of the Sacred Fig: una finestra sull’abisso del popolo iraniano. La recensione da Cannes 2024

Il regista dissidente Mohammad Rasoulof racconta la spaccatura ideologica del sistema di Teheran in un'opera potente che gli è costata una condanna

The Seed of the Sacred Fig: una finestra sull’abisso del popolo iraniano. La recensione da Cannes 2024

Il regista dissidente Mohammad Rasoulof racconta la spaccatura ideologica del sistema di Teheran in un'opera potente che gli è costata una condanna

The Seed of the Sacred Fig

Mohammad Rasoulof ci ha messo quasi un mese per lasciare l’Iran, raggiungere Cannes e sfuggire così alla condanna a 8 anni di prigione che gli è stata inflitta a causa del suo nuovo film. Il regista, da sempre dissidente e bersaglio del regime, se n’è andato di nascosto, senza passaporto, affrontando un viaggio che sarebbe già di per sé un buon soggetto per un lungometraggio.

La ragione per cui The Seed of the Sacred Fig è stato immediatamente preso di mira non è difficile da capire. Ambientato nell’autunno del 2022, durante le manifestazioni di protesta per l’omicidio – mentre era sotto custodia delle autorità – della ventunenne di origini curde Mahsa Amini (arrestata per “uso improprio” del velo), il film racconta la violenta repressione messa in atto da Teheran usando la prospettiva della famiglia di Iman, un pubblico ministero appena promosso, che fin dai primi giorni di lavoro si trova a firmare le condanne a morte degli studenti universitari coinvolti negli scontri con la polizia.

Iman ha due figlie femmine, una delle quali va al college, e che vivono le proteste dal di dentro. Mentre cercano di non farsi coinvolgere per non mettere in difficoltà il padre, assistono agli scontri attraverso i social network. Ma il conflitto non tarda a trasferirsi dalle strade all’ambiente domestico, e, quando prima un’amica delle ragazze scompare e poi la pistola d’ordinanza di Iman sparisce dal suo comodino, la situazione familiare precipita.

Rasoulof racconta la spaccatura generazionale e ideologica che si sta aprendo sempre di più in Iran, evitando cliché e facili scorciatoie: Iman, simbolo del potere teocratico, per tutto il film non colpisce mai le figlie, nonostante venga apertamente contestato in famiglia. Anzi, la distanza che percepisce tra il suo sistema di valori e il loro lo mette profondamente in crisi, lo spinge a lunghi confronti con la moglie (a sua volta in conflitto tra la fedeltà al marito e l’amore per le figlie) e in uno dei momenti più drammatici del film, quando ormai pare completamente fuori controllo, dice: «A questo punto non mi interessa più della pistola, voglio recuperare la mia famiglia».

Quello che desidera il regista è indagare la corrispondenza tra il dispositivo pubblico e quello privato, e come l’azione repressiva trovi (o non trovi) un’equivalenza nelle dinamiche educative, in una famiglia che è sì espressione del potere, ma a suo modo moderna e a maggioranza femminile. In una sequenza magistrale tutta giocata sull’implosione della violenza domestica, Iman – che vuole disperatamente ritrovare la sua pistola, per evitare il carcere – porta moglie e figlie a casa di un amico di famiglia che di mestiere conduce interrogatori. E se pure il trattamento che le tre subiscono sia “privilegiato”, la consuetudine alla tortura e all’abuso emerge in modo dirompente e terribile.

È la cifra di tutto il film: rappresentare la patologia del sistema, rifiutandosi di spettacolarizzarne le ricadute. Solo nel terzo atto, in una resa dei conti che ha tratti quasi metafisici e che sembra perfino citare il finale di Shining, The Seed of the Sacred Fig perde in una certa misura la sua compostezza, mentre cerca una via d’uscita per i suoi personaggi. Il film di Rasoulof non ha probabilmente la qualità di scrittura e messa in scena di Leila’s Brothers, altra opera poderosa e militante che due anni fa fu incredibilmente snobbata da una giuria di cui faceva parte Asghar Farhadi, ma è più lineare nell’arrivare al punto della sua denuncia, il che potrebbe giovargli sul piano commerciale e dei riconoscimenti festivalieri.

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