The Visit, la nonna posseduta fa paura. La recensione
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The Visit, la nonna posseduta fa paura. La recensione

Dopo una serie di insuccessi, M. Night Shyamalan ritrova lo smalto perduto con un horror found footage prodotto dall'ormai celebre Blumhouse Production

The Visit, la nonna posseduta fa paura. La recensione

Dopo una serie di insuccessi, M. Night Shyamalan ritrova lo smalto perduto con un horror found footage prodotto dall'ormai celebre Blumhouse Production

Può un regista che ha vissuto il momento più alto della sua carriera 16 anni fa, trovare riscatto grazie a un horror low budget e ricco di cliché, primo fra tutti il found footage? La risposta è sì, perché con The VisitM. Night Shyamalan spaventa e diverte.

Quale scenario più rassicurante – e quindi perfetto – della fattoria dei nonni per ambientare l’avventura da brivido di due giovani nipoti… Becca (15 anni) e Tyler (13), che i nonni non li hanno mai visti, sono lì per girare un documentario sul passato difficile della madre, che aveva interrotto bruscamente i rapporti con i genitori quando era ancora adolescente. Dalla telecamera dei ragazzi osserviamo gli eventi inquietanti della casa di campagna, sia dal punto di vista di Tyler – curioso, ingenuo e imprudente – sia da quello di Becca, razionale sino all’ultimo. E il taglio documentaristico si trasforma in investigativo via via che ci si addentra nei misteri della storia. Il found footage, funzionale, beneficia di questo cambio di registro, con i due protagonisti inghiottiti da quella che sembra una fiaba spaventosa ispirata alla versione più dark di Hansel e Gretel.

Shyamalan divide la narrazione in capitoli corrispondenti ai giorni della settimana. Espediente in stile Shining ma non solo, perché c’è molto immaginario thriller/horror nel film, da Psycho a Paranormal Activity: rumori improvvisi, oscuri scantinati e una nonna posseduta (o forse è solo la vecchiaia?) che diventa sempre più terrificante scena dopo scena tengono alta la tensione, puntualmente anestetizzata dai siparietti di Tyler, 13 anni di energia, passione per il rap (ogni volta che si arrabbia o si spaventa invece di imprecare pronuncia i nomi di popstar femminili come Rihanna o Katy Perry) e fobia per i germi.

È tutto molto semplice, eppure, complice anche un twist spiazzante, marchio di fabbrica del regista, si resta incollati alla storia sino in fondo. Forse ora possiamo dirlo: Shyamalan è sulla strada giusta. E Jason Blum, numero uno dei produttori horror di oggi, ci ha visto giusto per l’ennesima volta.

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