Ieri, al secondo giorno, il Festival di Torino si è giocato già uno dei suoi assi. Stiamo parlando di 127 hours (guarda il trailer sottotitolato in italiano), il primo film di Danny Boyle dopo la pioggia di Oscar (ben 8) ottenuta nel 2009 grazie a The millionaire.
Il film racconta l’allucinante esperienza (vera) di Aaron Ralston, giovane escursionista che durante una gita a piedi nei deserti rocciosi dello Utah rimane incastrato in un canyon con il braccio bloccato da un enorme blocco di pietra.
Le 127 ore del titolo sono quelle che Aaron – interpretato da James Franco (Milk, Howl) – trascorre cercando di liberarsi, all’inizio con baldanza e decisione, poi in modo sempre più irrazionale e disperato, man mano che acqua e provviste diminuiscono e la mancanza di sonno lo trascina in uno stato allucinatorio.
Il film parte da uno spunto simile al recente Buried, con Ryan Reynolds, in cui un autista occidentale rapito in Iraq si ritrova bloccato sotto terra in una bara, con una manciata di ore per riuscire ad evadere prima che l’aria si esaurisca.
Ma se nel film di Rodrigo Cortes la macchina da presa esplora ogni angolo della cassa in cui è bloccato il protagonista senza mai spingere il proprio occhio all’esterno, Boyle sceglie un approccio espressionista, mettendo in scena sogni, miraggi, ricordi e perfino una sorta di premonizione, che – a quanto riferiscono le didascalie in coda al film – nella realtà si è effettivamente avverata.
Difficile da collocare in un genere preciso, 127 hours è una sorta di viaggio nell’anima di un uomo bloccato in condizioni estreme. Parte come un film d’avventura con sfumature goliardiche (l’incontro con le due ragazze, il bagno in fondo a un crepaccio) e finisce per trasformarsi in un lotta per la sopravvivenza piena di dettagli horror.
La regia di Boyle è sempre più lontana dalle opere di inizio carriera (Piccoli omicidi tra amici, Trainspotting) e sempre più aderente a modelli mainstream, tanto che in molti momenti sembra che a girare sia Tony Scott: il film – oltre ad una vena eroica e individualista tipicamente americana – fa infatti un ampio uso dello split screen e di sequenze in puro stile videoclip (un po’ come accadeva in The millionaire).
Se vi piace il genere, non dimenticatevi di recuperare La morte sospesa (2003), docu-fiction di Kevin McDonald su un’altra storia vera, molto simile a questa: quella di un alpinista sopravvissuto a un incidente verificatosi ad altissima quota e rientrato al campo base pur con una gamba spezzata.
127 hours, invece, sarà distribuito in Italia nel marzo del 2011.
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