Attilio (Ennio Fantastichini, alla sua ultima interpretazione cinematografica prima della sua scomparsa), Giorgetto (Giorgio Colangeli) e il Professore (Gianni Di Gregorio), tre romani sulla settantina, variamente disastrati, un giorno decidono di mollare la vecchia vita di quartiere e andare a vivere all’estero. All’estero dove? È solo la prima di una lunga serie di questioni da risolvere, ma il Professore, in pensione dopo una vita a insegnare il latino e il greco, si annoia moltissimo, Giorgetto, ultima scheggia del popolo di Roma – pensione minima, senza aver quasi mai lavorato – non riesce ad arrivare a fine mese, e Attilio, robivecchi e fricchettone, vorrebbe rivivere le emozioni dei tanti viaggi fatti in gioventù. Sono tutti decisi a cambiare vita e ci riusciranno, anche se forse non nel modo che si aspettavano.
Lontano Lontano, il nuovo film del regista e attore romano Gianni Di Gregorio, racconta una storia molto in linea con le atmosfere buffe e senili del cinema dell’autore di Pranzo di ferragosto, Gianni e le donne e Buoni a nulla. «L’idea me l’ha data Matteo Garrone, che conoscendomi molto bene pensava che dovessi fare un film su un pensionato povero che è costretto ad andare fuori, e mi ha detto: se non la fai tu, che sei specialista in vecchietti, non la fa nessuno – racconta Di Gregorio presentando al Torino Film Festival il film, che uscirà nelle sale il prossimo 5 dicembre con Parthénos – Questa cosa mi ha folgorato e poi ho lavorato tantissimo in scrittura, anche con l’aiuto di Marco Pettenello negli ultimi tempi. L’idea era meravigliosa ed era effettivamente in linea con me, il copione era di ferro ma tutti hanno improvvisato tantissimo sul set, c’era una grande alchimia. Mi divertito talmente tanto che a volte mi dimenticavo di dare lo stop!»
«Giorgetto non è mai uscito da Porta settimiana a Roma, ma in generale i tre protagonisti sono persone che non si sono mai mosse – aggiunge Di Gregorio -, Il Professore è un ruolo per me molto autobiografico, anche se questo personaggio è ancora più vigliacco e spaventoso. Quando in scena arriva Ennio, che ci manca terribilmente, diventa il capo della situazione e del terzetto: un colonnello, per così dire. A quel punto i tre si mettono in movimento e non hanno la più pallida idea di cosa stia succedendo. Penso che a qualsiasi età occorra rimettersi in viaggio, con curiosità, senza aver paura di migliorare se stessi e la propria vita».
«A loro non interessa arrivare in un punto preciso e parlare con una persona in particolare, ma muoversi, fare cose nuove – gli fa eco Colangeli -, Si tratta di un viaggio senza navigatori, dove non è importante la meta ma il viaggio di per sé. La medicina e la tecnologia hanno prolungato le nostre aspettative di vita a tal punto da rimuovere la morte e la vecchiaia, non passiamo mai il testimone, e allo stesso modo i media ci fanno credere che accogliere il diverso non sia possibile. Per i nostri personaggi non è così…»
Ognuno dei tre ha una sua precisa identità e i siparietti orchestrati da Di Gregorio hanno una naturalezza empatica, tanto coinvolgente quanto divertente nella sua arruffata leggerezza. Una levità che riconcilia col mondo, in forme non di rado inaspettate e in virtù di una svagatezza solo apparente. «Questi personaggi dovrebbero avere paura di se stessi, del diverso, di ciò che sta succedendo, ma in realtà non hanno paure verso l’esterno – precisa ancora Di Gregorio -, Ciò avviene con una naturalezza che non li porta a rifletterci sopra, come fosse un atto meccanico, e il modo in cui nel film abbiamo restituito questo sentimento ha colpito anche me. Mi piace parlare di uomini in questo mondo, con un senso di accoglienza e tolleranza che in fondo ci viene fornito in dotazione naturale. Questo sembra un film semplice, ma vi assicuro che non lo è stato affatto».
«Parto sempre da Trastevere, da dove sono nato, dal Viale Glorioso di oggi, dai baretti tipo San Callisto dove sono cresciuto, ormai anche parecchio – scherza Di Gregorio in chiusura –, Centocelle, Tor Tre Teste e il Tuscolano sono delle periferie storiche che ormai non sono nemmeno periferie, ci sembravano altri mondi. L’uscita finale, però, è l’uscita dalla metropoli: col verde, il mare, il litorale, ciò che i personaggi arrivano a vedere, con enorme respiro. A Trastevere sono riuscito a conservare anche la casa dei miei genitori, anche se il palazzo oggi è tutto un bed & breakfast!»
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