In mattinata, qui a Toronto, prima importante conferenza stampa del festival, legata al film Moneyball, con Brad Pitt e Philip Seymour Hoffman, che vi abbiamo raccontato ieri. Ecco quello che ha detto Pitt, protagonista assoluto del film, in cui interpreta Billy Beane, il General Manager degli Oakland Athletics che ha rivoluzionato il mondo del baseball inventando un nuovo sistema di selezione e acquisto dei giocatori. Un sistema che consente di spendere meno e vincere di più, acquistando giocatori “efficienti”, invece che popolari.
Best Movie: Cosa ti ha attratto di questa storia?
Brad Pitt: «Adoro le storie dei perdenti che riescono a mettere tutti nel sacco. Il film parla di questo gruppo di uomini e ragazzi che partecipano a un gioco ingiusto, in cui ci sono regole economiche che penalizzano certe squadre e ne favoriscono altre. Quello che loro si domandano è perché da così tanto tempo si facciano le cose sempre nello stesso modo, se non ci sia un modo migliore. È una cosa che sento molto. Se inventassimo l’automobile oggi pensate che la faremmo funzionare grazie a una risorsa che non abbiamo e per cui dobbiamo dichiarare delle guerre? Non credo, credo che le faremmo funzinare come i nostri laptop».
BM: C’è qualcosa nel personaggio di Billy Beane che ti ha ispirato in particolare?
BP: «Mi ha fatto pensare alla mia educazione. Sono cresciuto in un ambiente di cristiani ferventi, e anche se la mia famiglia era molto amorevole, c’erano cose, parametri, che non capivo, su cui mi facevo delle domande. Solo quando cresci e cominci a fare delle scelte da solo, riesci a capire cosa funziona per te e cosa no. Sono molto legato a quel periodo, quando recidi il cordone ombelicale e non puoi fare affidamento su altri che su te stesso. Il film parla anche di questo».
BM: Non è esattamente il tradizionale film sportivo.
BP: «In effetti no, non lo è, i personaggi non hanno il tradizionale arco narrativo. Sono persone che per uscire da una situazione sfavorevole e immutabile devono pensare in modo differente, reinventarsi, e nel farlo si scontrano con muri di scetticismo che li mettono alla prova. Alla fine è una storia che parla di valori, di come valutiamo le persone, su che base, e di come valutiamo il successo e il fallimento. Sul fatto che molti sistemi di valori sono deformati dal pregiudizio. In questo mi ricorda molto il cinema degli anni ’70».
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