Giusto per essere onesti: chi scrive non ha mai amato il cinema di Luc Besson (regista e produttore). Un cinema già un po’ sopravvalutato alle origini, che per di più si è andato deteriorando negli anni, appiattendosi sui codici del mainstream americano e quindi svuotandoli di significato. Una sorta di effetto secondario della globalizzazione.
La premessa serve a introdurre il discorso sul nuovo The Lady, presentato in prima mondiale al Festival di Toronto e prossimamente film di apertura al Festival del Cinema di Roma. Il film è un biopic sull’attivista birmana Aung San Suu Kyi, caso politico internazionale ormai da oltre vent’anni, da quando cioè lasciò New York dove viveva con il marito e i figli, e fece ritorno in patria per assistere la madre malata. Fu proprio in quei mesi che il regime militare che tuttora governa il paese prese il potere con un colpo di stato.
Da allora Aung San Suu Kyi non ha più abbandonato la Birmania, diventando il volto della lotta per la libertà e la democrazia del suo popolo. In questi vent’anni è stata tra l’altro insignita del premio Nobel per la Pace, è stata eletta dai suoi connazionali Primo Ministro (voto poi annullato dal regime militare) ed è rimasta quasi ininterrottamente agli arresti domiciliari, senza neppure la possibilità di vedere il marito malato di cancro durante i suoi ultimi mesi di vita.
Questa storia toccante e ancora attualissima (gli arresti domiciliari sono stati revocati solo nel novembre 2010) viene raccontata da Besson senza scegliere né la via della mimesi documentaria, né quella della drammatizzazione senza compromessi, con il paradossale effetto di riuscire a sottrarre pathos alla dolorosa storia di Aung e congelare il coinvolgimento dello spettatore. Per di più ogni cosa – il casting, i dialoghi, la messa in scena – è a tal punto riciclata su un immaginario cinematografico arcinoto, che il film si presenta come una pretenziosa megaproduzione di una cinematografia secondaria con un complesso di inferiorità.
Ed è davvero un peccato, perché il tema è importante, tanto che il film è solo un altro tassello del sostegno a distanza che molti artisti internazionali stanno dimostrando alla donna: R.E.M. (Finding the River), Coldplay e U2 (Walk On), solo per citare i più noti, che hanno dedicato ad Aung San Suu Kyi celebri canzoni.
Che The Lady inauguri prossimamente il Festival di Roma è quindi comunque una buona notizia: è augurabile che se ne parli ancora, al di là delle sue qualità cinematografiche.