Ormai Robert Downey Jr. è un prodotto brandizzato. Può abbandonare l’armatura di Iron Man o i panni antichi di Sherlock Holmes, ma difficilmente riuscirà in futuro a uscire dal personaggio che lo ha reso una star internazionale. Lo conferma purtroppo The Judge, melodramma familiare che ha ufficialmente aperto il Toronto Film Festival 2014.
Avrebbe potuto essere una solida, efficace rappresentazione dello scontro tra un padre autoritario e un figlio ribelle. Le premesse per un classico film strappalacrime c’erano tutte: ambientazione rurale, backstory dolorosa dei personaggi, la più abusata eppure sempre affascinante scenografia dell’aula di tribunale americana. Siccome il protagonista è però Robert Downey Jr, ecco che la narrazione si dilunga inutilmente (e pesantemente) a causa dell’introduzione di svariati siparietti comici che devono alla fine rendere il personaggio di Hank Palmer un simpatico guascone. Ecco così che ci si ritrova di fronte a un film che supera le due ore e venti di durata, risultando farraginoso nello sviluppo e troppo alterno nei toni. Molte delle sottotrame sono appositamente accostate alla principale per attirare il pubblico verso il fenomeno Downey Jr., il quale da par suo ricambia con un’interpretazione che in superficie sembrerebbe essere più contenuta dei suoi ultimi lavori da istrione, mentre invece si rifugia in maniera troppo facile dentro i trucchi mimici che gli hanno permesso di ingraziarsi il pubblico di tutto il mondo.
Con una regia pulita, ma senza alcun vero guizzo, David Dobkin asseconda il suo attore principale e lo porta sempre e comunque dove vuole andare, verso il momento ad effetto. E da ciò avrebbe potuto comunque scaturire un prodotto efficace, corposo nella trama e robusto nella definizione dei personaggi. L’incapacità di condensare la materia trattata però sbiadisce anche quanto di buono The Judge contiene, soprattutto a livello di attori: più di Downey Jr., infatti, si fanno notare il sempre efficace Robert Duvall nei panni del problematico patriarca e un Billy Bob Thornton tirato a lucido in quelli dell’avvocato che metterà alle strette la famiglia Palmer.
Rimane sempre un po’ l’amaro in bocca quando si percepisce chiaramente che un’idea di partenza viene modificata, se non addirittura snaturata, per andare incontro ai favori del pubblico. Sembra il caso di questo film, che strizza davvero troppo l’occhio allo stereotipo che il suo protagonista cavalca da qualche anno. La furbizia nel tentare di nasconderlo dentro la confezione del melodramma a tinte forti non fa che aumentare il senso di indeterminatezza che aleggia intorno e dentro il lungometraggio. Colui che un tempo ha recitato per Robert Altman, che ha indossato con somma bravura i panni di Charlie Chaplin, dovrebbe riprovare a considerarsi un attore prima che un marchio di fabbrica.
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