Total Recall: l'intervista al regista Len Wiseman
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Total Recall: l’intervista al regista Len Wiseman

Faccia a faccia con l'autore del remake di Atto di forza, con protagonista Colin Farrell, che approda in Italia in dvd e Blu-ray dal 6 febbraio 2012

Total Recall: l’intervista al regista Len Wiseman

Faccia a faccia con l'autore del remake di Atto di forza, con protagonista Colin Farrell, che approda in Italia in dvd e Blu-ray dal 6 febbraio 2012

Il 6 febbraio 2013 saranno disponibili in Italia le edizioni homevideo (dvd e Blu-ray) di Total Recall, remake di Atto di forza, con protagonisti Colin Farrell, Jessica Biel e Kate Beckinsale. Neal H. Moritz, produttore della serie Fast and Furious, ha assoldato il regista della saga di Underworld, Len Wiseman, per dirigere l’action/sci-fi. Ed è sempre lui a svelarci i retroscena del film con questa intervista.

Come hai sviluppato la tua visione del futuro per questo film?
«Adoro creare nuovi mondi e questo è in parte il motivo per cui mi sono appassionato a questo settore. Faccio molte ricerche per conto mio. Ma mi piace anche creare da zero e mettere insieme le mie fantasie. Per esempio, uno dei nostri mondi è molto stratificato. Non puoi più espanderti in nuovi territori per molte complesse ragioni. Ma si cresce comunque e per questo è stata creata una città su diversi livelli. Se tu costruissi lungo il corso di cento anni, cosa succederebbe? Cosa accadrebbe al tuo sistema di trasporto? Come farebbero le auto a spostarsi fra i vari livelli? Così abbiamo creato questi magneti grazie a cui le auto possono muoversi nel traffico tra i vari livelli al fine di condensare lo spazio al massimo. Questo è frutto della mia immaginazione».

Hai preso ispirazione da film del passato come Il quinto elemento, per esempio?
«Ho guardato molti film. Volevo creare qualcosa che fosse diverso. La città è diversa da qualunque altra mai vista prima e vado fiero di questo. È complicato, gli effetti speciali non sono mai immediati, così non puoi vedere la resa finale».

Cosa hanno in comune la saga di Underworld e Total Recall – Atto di forza?
«Sono molto diversi, anche per quanto riguarda l’approccio che ho avuto con loro. Per me fanno parte di due universi separati. Specialmente dal momento che uno prende una piega decisamente horror. È più di una differenza di genere. Il tono di Total Recall – Atto di forza è più attinente alla realtà anche se contiene degli elementi fantastici. Diciamo che è più realistico di Underworld».

Underworld è il tuo “figlio”?
«Sono tutti miei figli. No, non necessariamente. Ho creato Underworld da zero e per questo ho con questo film un forte legame. Ma mi appassiono a tutti i miei lavori».

È stato divertente scritturare Kate per il ruolo della cattiva?
«È stato fantastico. È stato molto divertente perché ogni cosa che abbiamo fatto finora insieme è stata sempre orientata alla ricerca della giustizia e del bene… insomma tutto era molto “giudizioso”. Ora invece aveva la libertà di recitare e divertirsi e di essere un pochino maligna. Come ha detto Kate, ha  realizzato che è molto più divertente provare a distruggere il mondo che cercare di salvarlo».

Come è stato lavorare con Kate in questo film?
«È stata una scocciatura la maggior parte del tempo. No, scherzo. Quando sei sposato con qualcuno, non hai bisogno di dare indicazioni o di fare altre cose che di solito fai con persone che non conosci. Ogni volta che fai un film conosci persone diverse. Come spesso dico, se si potesse girare un film prima e conoscere i caratteri e le caratteristiche di ciascuno, sarebbe fantastico poi rifarlo di nuovo perché così sapresti già come agire con ciascuno. Eliminerebbe molti problemi. Non ci sarebbero questioni perché già conosceresti chi hai davanti, sapresti cosa può aiutare ciascuno a comprendere cosa vuoi realizzare, come vuoi lavorare».

Ti ha sorpreso Kate come attrice in questo film?
«In lei [Lori] c’era una malvagità quasi divertente, che Kate ha saputo esprimere. Ha inserito un tono ironico in più rispetto a quello che il personaggio originale doveva avere. Questo mi ha sorpreso. Nella sceneggiatura il tono era diverso, ma lei l’ha interpretato in un modo tale che sembrava provenisse davvero da dentro un luogo oscuro della sua anima. E questo ha funzionato alla perfezione».

Parlate dei film a cena?
«Probabilmente più io che lei. Tutti e due facciamo il nostro lavoro perché lo amiamo. Ma sicuramente a casa ne parlo più io che lei».

Come hai affrontato le grandi aspettative del mercato riguardo al film?
«Ci sono passato diverse volte. Per Underworld la preoccupazione era come presentare qualcosa che nessuno conosceva. Ognuno ha la propria idea di come possa essere un remake. E potrebbe essere diversa dalla mia. O esattamente come la mia. Per fare il film, sono partito da quello che mi piaceva. È potrebbe essere diverso da quello che piace agli altri. Onestamente, in fondo, ho egoisticamente fatto il film per me. In parte è stato necessario. Se mi chiedo: “Cosa vuole vedere il pubblico?” oppure: “Cosa pensi che piaccia al pubblico tra i 17 anni e i 25?” onestamente non ho una risposta. Ma so cosa piace a me. Ecco per chi realizzo il film in primis. Lo studio può non approvare ma credo che molti registi facciamo esattamente la stessa cosa».

Cosa hai imparato sul mettere in scena un film d’azione facendo questo film?
«Io imparo in continuazione. Molto è tecnica. Io cerco di fare più pratica possibile. L’uso di una sola videocamera per girare è solo una questione di pratica. C’è un modo di fare le stesse riprese in computer grafica ma non voglio usarlo finché non sarò costretto. Dal punto di vista della tecnica, cerco sempre di imparare a fare cose che possano migliorare gli effetti e l’azione e cerco di lavorare con la tecnologia pur cercando di farne un uso più pratico e funzionale possibile».

Perché non ti piacciono gli effetti visivi?
«Non mi piacciono. E suona strano perché questo film ha più computer grafica di qualunque altro film abbia mai fatto, ma ha anche molta più azione reale di qualsiasi altro film. Uso gli effetti solo quando non riesco a trovare nessuna altra alternativa possibile».

Ti preoccupi per gli attori che fanno acrobazie da stunt?
«Colin diceva: “Mettimi alla prova. Lo farò”. Colin è molto bravo ed interessato e motivato a farlo e poi in più hai il confronto e il dialogo. “Dovremmo fare questa cosa?”. Poi fai delle prove e ti rendi conto che puoi riuscirci. Per quanto ho imparato sul fare un film, penso che ci sia un coinvolgimento maggiore se il pubblico vede che è proprio l’attore a girare quella scena. Abbiamo visto troppi stunt man. Se invece riconosci che è proprio Colin o Tom Cruise o Kate o qualsiasi attore altro dentro la macchina che esplode e viene sbalzata sulla strada, credo che lo spettatore abbia una diversa reazione. Non dici solo: “Wow, è fantastico”. Ma dirai: “Wow, è Colin!”. Il livello di emozione e pathos aumenta».

Per preparare questo film, hai visto altri film in dvd, hai guardato i contenuti speciali o i commenti dei registi o altro?
«Lo facevo. È stata la mia scuola. Ora non più. In parte è frustrazione dovuta al fatto che i Dvd quasi non esistono più. E io amavo vedere i commenti, ma non esistono su iTunes o simili. Molto dipende anche dal fatto che sono tanto impegnato. Sono un fissato di fantascienza, ma preferisco usufruirne di più attraverso l’arte e i libri piuttosto che attraverso i film. Guardo i film per capire come evitare di ripetere cose già fatte. Come posso creare un futuro diverso da quello raccontato da Io, robot o Minority Report? È principalmente un lavoro artistico».

C’è qualche aspetto del tuo lavoro che non ti piace?
«Sì, non mi piace parte della postproduzione. È una faticaccia. Ed è un lavoraccio anche quando devi riesaminare lo script. Diventa come quando ci sono troppi cuochi in cucina, fai avanti e indietro sempre sulle stesse cose. Ma fa parte del processo. E succede per ogni singolo film. È non mi fa impazzire. La parte per me più divertente è girare. Ho il controllo ed è tutto immediato. Non c’è tempo di sedersi e discutere di qualcosa. Dobbiamo girare ora e come risolviamo questo problema? Quando ero all’inizio della carriera – ho lavorato con Roland Emmerich nei suoi film – mi sedevo e stavo cercando di capire come venivano risolti i problemi che si presentavano. In sostanza, il lavoro del regista è risolvere problemi tutto il giorno. Tu hai un piano, la gente te lo boicotta in continuazione, e tu devi far in modo che tutto funzioni. Mi siedo in regia, osservo i problemi che si presentano e come quando ero ragazzo mi dico: “Se questo è il problema, quale potrebbe essere la soluzione?”. Questo è in sostanza buona parte del ruolo del  regista. E risolvere quel tipo di problemi mi emoziona, mi dà la carica, stimola la mia creatività».

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