Netflix ha da tempo consolidato la sua reputazione come una delle piattaforme di riferimento per gli amanti del true crime, offrendo una vasta selezione di documentari che spaziano da storie avvincenti a indagini inquietanti. Tra i numerosi titoli disponibili, ce n’è uno che si distingue per la sua narrazione potente e il rispetto con cui tratta le vittime della vicenda e che, proprio per questi motivi, potrebbe essere considerato il migliore in assoluto: La ragazza nella foto, diretto da Skye Borgman.
Il documentario, uscito nel 2022, racconta la tragica storia di Tonya Hughes, una giovane donna che nel 1990 viene trovata in fin di vita sul ciglio di una strada a Oklahoma City, apparentemente vittima di un incidente stradale. La sua morte segna l’inizio di un’indagine che porterà alla luce una verità scioccante, rivelando una rete di abusi, identità rubate e crimini che si estendono per decenni.
All’inizio, il caso sembra quello di un semplice incidente stradale: Tonya, appena 23enne, viene trovata gravemente ferita lungo una strada secondaria vicino all’Interstate 35. Il marito, Clarence Hughes, non appare particolarmente preoccupato e si limita ad apporre il cartello “No Visitors” sulla porta della stanza d’ospedale della moglie. Tuttavia, quando i medici scoprono segni di lesioni precedenti, non compatibili con l’incidente, i sospetti su Clarence aumentano.
Dopo la morte di Tonya, avvenuta pochi giorni dopo il ricovero, Clarence affida il loro figlio di due anni, Michael, ai servizi sociali e scompare nel nulla, alimentando ulteriormente le perplessità delle autorità. Ma la svolta arriva quando alcuni amici della giovane cercano di contattare la sua famiglia per porgere le condoglianze. La madre di Tonya, incredibilmente, afferma che sua figlia è morta vent’anni prima, all’età di appena 18 mesi.
Questa rivelazione sconcerta tutti: chi era veramente la donna conosciuta come Tonya Hughes? E chi era Clarence Hughes? Le indagini portano a scoprire che l’uomo è in realtà Franklin Delano Floyd, un ex detenuto con un passato da latitante. Ma i misteri non finiscono qui.
Franklin Floyd viene arrestato nel 1990 per violazione della libertà vigilata, ma viene rilasciato nel 1993. Due anni dopo, si rende protagonista di un nuovo crimine: irrompe nella scuola elementare di Michael, sequestra il bambino sotto la minaccia di un’arma e fugge con lui. Questo episodio porta l’FBI a concentrarsi nuovamente sulla sua figura, affidando il caso all’agente speciale Joe Fitzpatrick, che inizia a collegare Floyd non solo alla morte di Tonya, ma anche a una serie di altri crimini irrisolti.
Le indagini rivelano che la donna conosciuta come Tonya Hughes era in realtà Sharon Marshall, una giovane donna dal passato tragico. Negli anni ’80, Sharon era una brillante studentessa delle superiori in Georgia, con un futuro promettente: aveva ottenuto una borsa di studio per il Georgia Tech, ma la sua vita era segnata da un incubo quotidiano. Dietro l’apparenza di un padre amorevole, Franklin Floyd si rivelava essere un aguzzino, costringendo Sharon a subire abusi e, successivamente, a lavorare come spogliarellista e prostituta.
L’orrore non finisce qui. Durante il periodo in cui Sharon viveva sotto il controllo di Floyd, un’altra giovane donna, Cheryl Ann Comesso, viene assassinata in circostanze misteriose. Anni dopo, Floyd verrà riconosciuto come il responsabile dell’omicidio e condannato a morte nel 2002.
Il documentario true crime di Skye Borgman segue con attenzione ogni passaggio dell’indagine, mostrandoci come, a ogni scoperta, la verità assuma contorni sempre più agghiaccianti. La rivelazione definitiva arriva solo nel 2014, quando l’agente speciale Scott Lobb riesce a ottenere una confessione da Floyd. L’uomo ammette di aver ucciso Michael poco dopo il rapimento e, infine, rivela il vero nome di Sharon Marshall: Suzanne Sevakis.
La sua storia inizia nel 1974, quando Floyd, sotto il falso nome di Brandon Williams, incontra una donna di nome Sandi Chipman in North Carolina. Dopo averla sposata e trasferita a Dallas, l’uomo finisce brevemente in carcere per truffa. Al suo rilascio, Sandi scopre che Floyd è fuggito con i suoi quattro figli. Tre di loro vengono ritrovati, ma la piccola Suzanne, di appena sette anni, scompare senza lasciare traccia.
A differenza di molti documentari true crime, La ragazza nella foto non si sofferma sulla psicologia del carnefice, ma dà spazio alle vittime e alla loro storia. Borgman adotta una narrazione attenta e rispettosa, evitando di trasformare il documentario in una celebrazione della mente criminale di Franklin Floyd. La pellicola si distingue per la sua capacità di raccontare una storia tragica con estrema sensibilità, mettendo in luce il coraggio e la resilienza delle persone coinvolte. Il risultato è un’opera che non cerca di trovare giustificazioni per il mostro dietro questi crimini, ma che si concentra sulle vite spezzate di coloro che ne hanno subito le conseguenze.
Con una durata di 101 minuti, La ragazza nella foto si rivela un’esperienza intensa e sconvolgente, che lascia nello spettatore un senso di profonda ingiustizia e un forte desiderio di riflettere su temi come il controllo, la manipolazione e l’identità. È, senza dubbio, uno dei migliori documentari true crime di Netflix, non solo per la qualità della narrazione, ma per il modo in cui riesce a dare voce a chi, per troppo tempo, ne è stato privato.
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Fonte: Netflix
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