Charlot, Indiana Jones, Dick Tracy, Freddy Krueger e i Blues Brother hanno in comune una cosa. Pensateci un attimo…
Se non vi è venuto in mente ve lo diciamo noi: non sarebbero se stessi senza il loro cappello calcato in testa. La storia del cinema – e soprattutto la storia dei suoi personaggi e dei suoi miti, delle sue epopee e delle sue mode – è indissolubilmente legata a quella di un accessorio trascurabile solo ad un occhio distratto. Intere generazioni di gangster, ad esempio, hanno espresso sullo schermo minacce e avvertimenti, passione e rabbia, semplicemente con la posizione del cappello. Addirittura un intero genere, e parliamo del western, non sarebbe immaginabile senza copricapi almeno quanto non lo è senza cavalli o polvere.
Partendo da queste considerazioni la Fondazione Borsalino, legata a un marchio storico del settore ha allestito la mostra Il cinema con il cappello. Borsalino e altre storie, che la Triennale di Milano ospiterà fino al prossimo 20 marzo, e destinata successivamente a viaggiare per il mondo. Un percorso multimediale nato da un enorme lavoro di ricerca, che guida il visitatore attraverso le diverse interpretazioni del cappello su grande schermo.
Un percorso fatto di stanze, quasi delle piccole sale cinematografiche, in ciascuna delle quali il cappello acquista una nuova sfumatura, attraverso il montaggio di scene provenienti da grandi capolavori e piccole gemme dimenticate. C’è il cappello erotico e il cappello inquietante, il cappello borghese e quello criminale, in un sentiero che conduce infine al film che del cappello e di uno dei suoi marchi storici ha fatto addirittura il proprio titolo: Borsalino, appunto.
Un gangster movie, quello con Alain Delon e Jean Paul Belmondo, che inverte completamente le dinamiche commerciali oggi imperanti del product placement: all’epoca, infatti, la produzione del film chiese all’azienda di Alessandria il permesso di utilizzare nel titolo il loro marchio, offrendo in cambio una scena del film, in cui un camion con la scritta Borsalino percorre una strada di montagna.
La mostra, di grande impatto emotivo – in particolar modo per i cinefili, che riconosceranno più facilmente omaggi e citazioni – costituisce insomma un doveroso riconoscimento a un intero immaginario, sancendo che il cinema, senza cappello, non è proprio la stessa cosa. (Foto: © Photomovie Collection)