Se per gli uomini è abbastanza semplice trovare abiti iconici nel cinema che possono essere indossati nella vita di tutti i giorni, per le donne la faccenda è più complicata perché la loro moda è maggiormente suscettibile delle tendenze del tempo. Per capirsi: se un uomo può comprarsi oggi lo stesso modello del giubbotto di pelle indossato da Marlon Brando ne Il selvaggio (1953), e indossarlo per andare a un aperitivo, per una donna sarebbe più impegnativo indossare la replica dell’altrettanto iconico vestito bianco che Marilyn Monroe sfoggiava in Quando la moglie è in vacanza. Perché la moda femminile è più veloce, frenetica e in costante mutamento rispetto a quella maschile, che ha alcuni capi senza tempo che tali erano, tali sono e tali rimarranno, forse per sempre. Ci sono delle eccezioni? Alcune.
Una, per esempio, ha una lunga storia alle spalle ed è creata da un personaggio controverso e chiacchierato come Gabrielle “Coco” Chanel che, negli anni Venti, diede al mondo una “petite robe noire”, per dirla con le sue parole. Una piccola cosina nera che oggi, in Italia, chiamiamo comunemente tubino.
Il tubino è stato inizialmente associato allo scandalo e alla provocazione, e visto come un capo fortemente sensuale (e volgare, diciamolo), più adatto al boudoir e all’avanspettacolo che ai salotti buoni. Non a caso, la prima a indossarlo al cinema è Betty Boop, la flapper animata che lo porta cortissimo, a mostrare la giarrettiera.
La seconda donna di spicco a farne un capo signature è Wallis Simpson, la “divorziata americana”, amica di Coco Chanel (e, come lei, piuttosto amica anche di nazisti e fascisti) che portò scompiglio nel jet set mondiale, prima intessendo una relazione con Galeazzo Ciano, poi ammaliando Ribbentrop e, un paio di burrascosi matrimoni dopo, diventando l’amante e poi la sposa di Edoardo III, Principe del Galles e futuro Re del Regno Unito (che tale non diverrà mai, avendo abdicato proprio a causa di questo legame). Forse è per questa fama controversa che il little black dress (come lo chiamano americani e inglesi) viene fatto indossare a una già lanciatissima Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany (1961), dove l’attrice interpreta una cercatrice di fortuna che si spaccia per prostituta d’alto bordo.
Il capo del film è però disegnato da Hubert de Givenchy e la sua interpretazione dello “straccetto da poco di buono” è così raffinata, da cambiare la percezione che il mondo ha del tubino, trasformandolo in un simbolo di eleganza e raffinatezza (merito anche dello stile e della classe con cui la Hepburn lo porta).
Nello stesso anno, un’altra grande attrice lo sfoggia meravigliosamente: Monica Vitti, ne La notte di Antonioni. L’interpretazione del tubino questa volta è del designer milanese Biki, che ce ne dona una versione moderna e affilata.
Da quel momento in poi, “la sottoveste senza veste sopra” diventa un capo portato spesso al cinema, sia come seconda pelle per le femme fatale, sia come simbolo di ricercata eleganza e, qualche volta, come simbolo di anticonformismo e ribellione, specie se associato a un paio di anfibi o di gigantesche sneaker.
Nonostante le varie interpretazioni, il tubino nasce come un capo impegnativo e tale rimane, impietoso con le forme e difficile da indossare nella quotidianità, ma è una scelta perfetta se si vuole fare colpo (come Angelina Jolie in Mr. e Mrs Smith), uccidere (come Anne Parillaud in Nikita), fingersi qualcuno (come Jamie Lee Curtis in True Lies) o vendicarsi (come Lady Diana sul Principe Carlo, all’indomani del divorzio e dell’ammissione dei di lui tradimenti). Ma per quanto il tubino sia un capo complicato, non lo sarà mai come una gonna di tulle o un tutù.
So a cosa state pensando: alla sigla di Sex and the City, la serie che ha imposto Sarah Jessica Parker come influencer di moda assoluta per più di un decennio. E avete ragione, perché una gonna di tulle, bianca e corta, portata come un capo qualsiasi sotto a una semplice canottiera e sopra a un paio di splendenti Manolo Blahnik, è forse il capo più iconico indossato dal personaggio di Carrie Bradshaw.
Un risultato non da poco per una robina trovata per caso in un vecchio scatolone di abiti usati dalla geniale costumista dello show, Patricia Field, e pagata ben 5 dollari (lo stesso capo è stato poi rivenduto all’asta per 55.000).
Ma da dove gli è venuta l’idea per un accostamento così ardito, alla Field? Probabilmente dal tutù indossato da Madonna nel 1987, in Who’s That Girl. E Madonna, che con i tutù aveva un rapporto piuttosto stretto, sembra che abbia creato l’aestethic del suo personaggio ispirandosi a Pris, la replicante di Blade Runner, interpretata da Daryl Hannah che, a sua volta, si era ispirata al Nosferatu interpretato da Klaus Kinski nel film di Herzog.
Quindi, in sostanza, Carrie Bradshaw è imparentata con un vampiro tedesco. Chi lo avrebbe mai detto? Io, io lo avrei detto. Non mi ha mai convinto fino in fondo quella ragazza.
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