«E, ricordatevi, potete ridere e commentare, proprio come fareste al cinema». A dirlo – e a lasciarmi parecchio perplessa: chi è che osa commentare, al cinema? Di certo non i miei vicini di posto… – è Duccio Bertini, apprezzato musicista e compositore, chiamato a dirigere la Florence Art Orchestra, già dispiegata sul palco del Teatro Arcimboldi di Milano, pronta a suonare la colonna sonora di La La Land dal vivo.
Sono le 18.00 di una domenica pomeriggio assolata e la sala, piena a metà – la data è stata aggiunta dopo che la serata di sabato ha fatto il tutto esaurito – è pronta a farsi travolgere, di nuovo, dal film evento dello scorso anno. La ragazza che si trova a due posti da me sa bene cosa l’aspetta, ha già in mano un pacchetto di fazzoletti.
Ci siamo, qualche gesto della mano da parte del Maestro e sul grande schermo appare la scritta: Ouverture. È la prima novità, al cinema non è mai arrivata. E allora mi metto comoda, mentre 80 elementi suonano il tema di Mia e Sebastian.
Da dove sono io, platea, settima fila dal palco, riesco a cogliere lo sguardo concentrato del primo violino, illuminato dal cono di luce che per tutta la durata delle proiezione incornicia il Maestro Bertini, purtroppo però il pianista – quello che, già lo so, sarà l’artefice del mio cuore in poltiglia – è impallato da una schiera di altri musicisti. Peccato.
L’Ouverture si conclude e senza soluzione di continuità – sto quasi per battere le mani ma mi accorgo che sarei la sola e non voglio fare figuracce – ci troviamo incolonnati su una superstrada di Los Angeles. È un altro giorno di sole. Nonostante l’invito a non fare foto o video spuntano dalle pochette smartphone d’ultima generazione, la ragazza al mio fianco riprende tutta la scena, canticchiando. Io non riesco a tenere fermi i piedi, ho le lacrime agli occhi, è tutto ancora più emozionante. Alla fine, terminata “Another Day of Sun”, scatta davvero un applauso entusiasta.
Il film è entrato nel vivo, il provino di Mia, “Someone in The Crowd” che potrebbe notarti, Sebastian che viene licenziato dal locale per aver suonato il suo jazz, il primo incontro, il ballo al tramonto sulle note di “A Lovely Night” e finalmente “City of Stars”, la miglior canzone originale agli scorsi Oscar.
Tutto fila liscio tra sospiri e sorrisi, ma io non so ancora decidermi: in una situazione del genere si deve dare priorità alla visione del film o all’orchestra? È vero, la musica si ascolta con le orecchie, ma sono certa che l’occhio in questo caso potrebbe regalarmi qualcosa in più, e proprio per questo nella pausa tra il primo e il secondo tempo decido di spostarmi e trovare posto in prima galleria.
Ha inizio per me un’esperienza del tutto diversa. Dall’alto domino la sala, riesco a vedere tutti i musicisti e mi accorgo che sono più attivi di quanto mi aspettassi. Durante la canzone di John Legend – “Start a Fire” – si muovono, battono le mani, alzano a tempo gli strumenti. Nel frattempo la sala si è fatta rossa, sul soffitto appaiono delle luci che si muovono a ritmo, il pubblico si lascia trasportare, qualcuno balla sul posto, io mi lascio scappare un urletto.
Poi il film cambia tono, arriva il momento che qualcuno ha definito cinico, l’amore che non vince su tutto. È stata questa verità a fare di La La Land il manifesto della nostra generazione? Forse. Sta di fatto che a giudicare dal viso rapito delle persone che mi circondano, dalla stretta allo stomaco che arriva sempre in quella scena lì, quando tra la penombra del Seb’s Ryan Gosling è al pianoforte e Emma Stone è seduta tra il pubblico, è palese quanto questo film sia venuto per restare. La La Land è già entrato nella storia, ha già riempito i cinema, ha già riempito i teatri. Continuerà a farlo perché non importa se sia o meno un capolavoro, in La La Land rivediamo i nostri sogni le nostre paure le nostre ambizioni. E poi che musica. Che film.
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