Primo scandalo – almeno potenziale (il film non è così estremo come ci si poteva aspettare) – al Festival di Venezia. È infatti passato alle Giornate degli Autori – la sezione più sperimentale della Mostra – Gerontophilia. Un’opera che, non bastasse il tema scabroso, è firmata da un autore che opera spesso ben oltre i confini della pornografia come Bruce LaBruce.
Si racconta la fascinazione, che sfocia nell’attrazione fisica, di un ragazzo ventenne per gli uomini anziani. Lake – questo il nome del giovane protagonista – è in quella fase della vita dove ancora deve dare una forma alla propria identità. Ha una ragazza, con la quale passa il tempo a sbaciucchiarsi, dietro al suo letto è appesa la gigantografia di Gandhi, e legge No logo. Sotto il suo cuscino o nello zaino, invece, nasconde un quaderno dove ritrae volti e corpi dei 70/80enni che incontra per strada o nella piscina dove lavora. Durante la respirazione bocca a bocca effettuata a uno di loro, che rischiava di annegare, è “vittima” di un’erezione. L’occasione per approfondire quel “qualcosa che non va ” in lui (per sua stessa ammissione) gli viene servita involontariamente dalla madre – donna che ancora non è in grado di badare a se stessa, figuriamoci a un figlio – la quale gli trova un posto presso una casa di riposo. Qui Lake conosce Melvin – “molto vecchio e molto malato”, nelle parole di una sua collega – con il quale pian piano sperimenta le pulsioni del corpo, liberando la passione. Insieme fuggono dalla struttura, si lasciano alle spalle la loro vita (Lake nel frattempo lascia anche la fidanzata), e si mettono in viaggio per un’avventura on the road che li porta ad attraversare il Canada e a realizzare che “non è solo sesso, è amore”.
Lo spunto, decisamente interessante e inesplorato in ambito cinematografico, non trova sullo schermo una resa altrettanto convincente. Bruce LaBruce, che nei suoi precedenti film aveva spinto sul versante grottesco, spesso sconfinando come detto nel porno, qui sceglie un registro più sentimentale (qualche punta di grottesco in più non ci sarebbe stata male nemmeno qui), abusa del rallenty e si affida a un cast giovane e inesperto (a eccezione di Walter Borden/Melvin). Non si lascia neppure il tempo di sviluppare tutti i temi messi in campo e le sottotrame che pure accenna (il rapporto con la madre e la fidanzata, la natura della relazione che quest’ultima intrattiene con il suo boss e poi con un’amica, le reazioni dei colleghi di Lake alla scoperta della sua relazione con Melvin), tanto che a tratti sembra di trovarsi davanti alla puntata di un telefilm.
Resta comunque il coraggio di aver affrontato la gerontofilia di petto, senza paure né censure.
Qui sotto una clip del film.