È il fischietto dell’attore emiliano a inaugurare la settantesima edizione della Mostra di Venezia, portando sul grande schermo del Lido L’arbitro dell’esordiente Paolo Zucca, che ha fatto da apripista alla sezione Giornate degli autori che quest’anno festeggia dieci anni.
Nell’ambiente è conosciuto come il Principe per la leggiadria con cui dirige le partite da lui arbitrate, tanto da sembrare un ballerino alle prese con delle coreografie lungo le linee del campo piuttosto che un giudice di gara. La sua eleganza, la sua dedizione al mestiere, lo stanno portando finalmente all’arbitraggio della prima finale europea della sua carriera, ma l’ambizione e l’ego gli faranno infrangere quel regolamento di cui si è dimostrato sempre il difensore più accanito, facendolo precipitare nel girone dei dannati, ovvero la terza categoria sarda. La sua ascesa e la sua caduta si svolgono in parallelo con le vicissitudini dell’Atletico Pabarile, squadraccia sarda sempre umiliata dal Montecrastu, il cui leader è l’odioso fazendero Brai, fino al giorno in cui un argentino tornato al paese per riconquistare la bisbetica figlia dell’arbitro cieco del Pabarile si rivela un fuoriclasse che, partita dopo partita, porterà l’improbabile team a risalire la china del campionato, giungendo all’epico scontro finale…
Versione estesa di un cortometraggio con cui Paolo Zucca nel 2009 aveva vinto il David di Donatello, L’arbitro è una divertita e divertente dichiarazione d’amore nei confronti della più grande passione/ossessione degli italiani: il calcio. Giocando con i generi e i registri, il film riesce a rappresentare sapientemente e con gusto l’essenza di questo sport che, come diceva Churchill, gli italiani affrontano con più serietà e partecipazione di una guerra. L’ambientazione rurale sarda e la totale ininfluenza del suo infimo campionato rispetto agli equilibri del mondo, intrecciandosi alla descrizione dei sofisticati e quasi massonici corridoi delle federazioni calcistiche internazionali, mostra tutta la portata esistenziale, la capacità di aggregazione e di scatenare odio e amore, la sacralità, di uno sport che per il nostro Paese più che per altri è metafora stessa della vita.
E la chiave grottesca e surreale dell’Arbitro è la più giusta per descriverne meccanismi e rituali, portandoci dietro le quinte di una professione spesso odiata, ma che si rivela il perno da cui dipendono, oltre che il business, la carriera dei giocatori, la felicità o l’infelicità dei tifosi, oltre che i destini degli arbitri stessi. Accorsi è molto bravo nel prestare al ruolo la sua gestualità, la disinvoltura nel ballare (sulle note della bellissima Vivere di Cesare Andrea Bixio del ’37) e soprattutto la capacità di non prendersi troppo sul serio, supportato da un ottimo cast che raccoglie compaesani del regista non professionisti e attori molto collaudati come Geppi Cucciari, Marco Messeri, Francesco Pannofino e Benito Urgu. L’arbitro di Zucca si rivela un’opera di puro intrattenimento, che gioca gioiosamente mescolando più generi, dallo spaghetti western alla Leone (con i primissimi piani dei suoi personaggi) alla commedia e al musical, mostrando le liturgie e i sentimenti inconsci, gli amori e le faide, che solo il calcio sa portare a galla.
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