Che sotto la sua pelle (come recita il titolo: Under the Skin) si nasconda un’anima non umana lo intuiamo fin dall’inizio ma lo scopriamo realmente solo negli ultimi minuti del film. Scarlett Johansson è un’aliena nel film di Jonathan Glazer, traduzione in immagini dell’omonimo romanzo di Michel Faber (in Italia edito da Einaudi con il titolo Sotto la pelle). Non conosciamo il suo nome, non sappiamo da dove venga né perché si trovi in Scozia. Semplicemente la osserviamo mentre – a bordo di un furgone bianco o a piedi lungo i boschi e le distese delle highlands – scruta quest’universo. Scopriamo che i suoi occhi cercano qualcosa: uomini, da avvicinare, sedurre e poi far sparire. La scena si ripete uguale ogni volta: dopo averli conquistati, li conduce in un non-luogo (uno schermo nero interrotto esclusivamente dalle loro figure), dove questi – completamente nudi e senza aver avuto alcun tipo di contatto fisico con lei – vengono risucchiati in un mare denso. Di tanto in tanto, accanto a lei, si materializza un motociclista, suo complice e supervisore.
Parla poco: gli unici momenti di dialogo sono quelli con le sue prede; preferisce che il contatto con il mondo avvenga attraverso i suoi occhi, nei quali a poco a poco si manifesta la meraviglia della scoperta. Il fascino verso qualcosa di talmente “altro” da lei da attirarla, quasi incastrarla, distraendola dalla sua “missione”. Si lascia conquistare da una fetta di torta, che però non può ingoiare, e con sorpresa mista a orrore osserva il sangue con cui la mano ferita di un venditore di rose sporca anche le sue. Ma è la carezza di un ragazzo – a cui lei si presta più per lui che non per lei stessa – a smuovere qualcosa (sempre che dentro quell’involucro ci sia qualcosa da smuovere). Si guarda allo specchio per prendere più consapevolezza dell’identità che ha preso in prestito. Sperimenta il calore umano e la passione; o almeno ci prova, perché il suo corpo le impedisce di andare oltre i baci. E conosce la paura, quando una guardia forestale tenta di abusare di lei: impossibile violentare una maschera.
Che Jonathan Glazer – due soli film all’attivo per lui, tre con questo, ma con un passato da regista di videoclip e spot pubblicitari – sappia fare il suo mestiere, è indiscutibile. A confermarcelo sono la sicurezza ma allo stesso tempo la delicatezza della sua regia, che mescola fisico e metafisico, che sa posarsi sul corpo di Scarlett Johansson senza risultare pornografica, che usa la macchina da presa per proporci soggettive inusuali, che si astiene dal grottesco e non mostra mai più del dovuto. Glazer non spiega, diversamente dal romanzo d’origine; lascia volontariamente lo spettatore nel dubbio, perché intuisca da solo qualcosa in più sulla protagonista attraverso l’immagine del nostro mondo che ci restituisce il suo sguardo alieno. Ma esattamente come lei, la pellicola finisce per essere un involucro vuoto, esteticamente affascinante ma buio al suo interno. Riempito solo dell’eccezionale e coraggiosa performance della Johansson, i cui occhi e corpo non hanno mai comunicato così tanto.
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Mi piace: la delicatezza della regia di Jonathan Glazer, che mescola fisico e metafisico, che sa posarsi sul corpo di Scarlett Johansson senza risultare pornografica. La recitazione fatta di sguardi e fisicità della Johansson
Non mi piace: la pellicola risulta essere un involucro vuoto, esteticamente affascinante, ma buio al suo interno.
Consigliato a chi: ama le regie e le storie non scontate, ipnotiche.
VOTO: 3/5