Storia di…
James “Whitey” Bulger, gangster irlandese cresciuto a Boston, capobranco malavitoso negli anni ’70 e ’80, fratello di un senatore, amico intimo di un agente dell’FBI che lo convinse a diventare un informatore per garantirgli l’immunità e far fuori la concorrenza della mafia italiana.
James “Whitey” Bulger, capelli bianchi, pancia prominente, una tragedia in famiglia che lo trasforma in una bestia assassina peggiore di quanto già non sia nato.
James “Whitey” Bulger, criminale recidivo reduce da Alcatraz, con traffici da Boston a Miami, droga, prostituzione, gioco d’azzardo, perfino lotterie truccate, almeno 19 omicidi sulla coscienza.
Recensione doppia
Johnny Depp con lenti azzurre, pelata e naso posticci, sembra un po’ De Niro / Al Capone ne Gli Intoccabili e un po’ Joe Pesci in Quei bravi ragazzi, ma il gangster movie – confezionato così – è rimasto fermo a Scorsese. Questo è un problema più per il critico che per lo spettatore – il critico osserva il cinema che passa, anno dopo anno, e cerca sempre una diversità, un progresso; lo spettatore ama ritrovarsi dentro uno schema che conosce, essere avvinto, non mette il giudizio in prospettiva ma solo al presente.
In questo senso il critico nota che a Black Mass manca una qualsiasi originalità al di fuori della struttura di genere (gli ammazzamenti in strada, l’escalation della violenza, i primi tradimenti, il nuovo procuratore che è più onesto e risoluto, la fuga), e piccoli peccati fastidiosi per un occhio allenato (il film si apre su un giovane narratore che ha una scena di ingresso molto potente, sembra il gregario che dà le dimensioni ai protagonisti, e invece scompare dopo dieci minuti). Non percepisce un’esigenza morale o creativa, vede una collezione di scene a effetto, di trucchi.
Lo spettatore gode invece della buona recitazione, segue la storia, la prevede, si appassiona e spaventa sempre sotto controllo, sa esattamente cosa sta guardando.
Non si può quindi stroncare Black Mass sulla base di ambizioni che non ha, di un progetto che non è, questo cinema ha le sue ragioni per sopravvivere, è buona industria di lunga tradizione, e a Venezia è giustamente fuori concorso e sui Red Carpet. Ma, per dire, a differenza di Everest mostra solo cose che abbiamo già visto, nel senso che Boston qui è uno scenario per il noir come qualsiasi altra città potrebbe essere; si cita ad esempio molte volte un vecchio pub irlandese, ma quel pub non diventa mai un centro di storia e significato per i personaggi.
Joel Edgerton e Benedict Cumberbatch hanno le solite belle facce e il pieno controllo del ruolo, Dakota Johnson – per quel che dura – anche (poi scompare pure lei dal film come niente): il film non va più in là di questo.
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