Viggo Mortensen si presenta a noi con lo stemma del San Lorenzo de Almagro appuntato sulla giacca. Anche la borsa rossa e blu lavorata ai ferri, dove l’attore tiene i suoi oggetti personali, è dedicata al club argentino di cui è un appassionato tifoso. Il completo grigio e la camicia blu fanno risaltare il suo sguardo placido e luminoso. È orgoglioso di aver fatto parte del cast di A Dangerous Method diretto da David Cronenberg (in Concorso a Venezia 68), in cui l’Aragorn del Signore degli Anelli interpreta Sigmund Freud, padre della psicoanalisi.
BEST MOVIE: Riprendendo il titolo del film, Lei segue un preciso metodo nella recitazione?
Viggo Mortensen: Per la parte di Freud, sicuramente ho utilizzato un approccio diverso da quanto ho fatto in precedenza per altri ruoli. Ma, in generale, mi piace pormi ogni volta sempre la stessa semplice domanda: cosa è accaduto dal momento che questa persona (il personaggio da interpretare, ndr) è nata fino a quando è morta o fino al momento presente; se essa è ancora viva… Indubbiamente, è una ricerca molto interessante, decisamente utile. Nel caso di Freud, era necessario capire, oltre alla psicoanalisi, anche il periodo storico in cui si svolgono i fatti e il contesto socioculturale in cui operò il dottore, in quella Vienna che allora era la capitale dell’Impero austro-ungarico.
BM: Accade anche all’attore di sperimentare una sorta di transfert nella relazione con il suo personaggio, come nel rapporto tra terapeuta e paziente?
Viggo Mortensen: Dopo le riprese di un film, alcuni colleghi affermano: “Ho sofferto un sacco, non potevo fare a meno di portarmi il lavoro a casa, ho rovinato il mio matrimonio”… A me non accade nulla di simile. Non che non ci tenga al mio lavoro, anzi. Beh, a volte, in passato mio figlio (Henry, avuto dalla ex moglie Exene Cervenka, cantante della punk band X, ndr) mi guardava mentre studiavo una parte e poi, spesso, in alcuni momenti si arrabbiava con me e mi riprendeva, facendomi notare per esempio che parlavo con un accento strano, ma io gli dicevo di non preoccuparsi… In generale per me imparare un ruolo implica un transfert positivo e incredibilmente utile, è un pretesto per imparare un sacco di cose nuove e guardare il mondo da un’altra prospettiva. Così come mi è accaduto ora interpretando Freud.
BM: Cosa pensa dell’opera di Freud?
Viggo Mortensen: Io credo che Freud volesse trovare una via, un metodo, appunto, per portare le persone a confessarsi senza essere puniti, proponendo dunque una cura attraverso l’amore… Penso che non ci sia una forma più grande di amore nei confronti di una persona dell’ascolto. Che si tratti di un bambino, di un amante o di un nemico… L’ascolto è il primo livello di amore. Se sei un buon attore, sei un buon ascoltatore, e lo stesso vale per i registi.
BM: È la terza volta che collabora con Cronenberg, dopo History of Violence e La promessa dell’assassino. Com’è cambiato nel tempo il vostro rapporto?
Viggo Mortensen: Cronenberg è un grande ascoltatore, molto attento ai dettagli. Lavorando a un film con lui si passa molto tempo insieme. Il nostro rapporto è migliorato negli anni. Raccontando una storia del genere sulla psicoanalisi e su due psicoanalisti del calibro di Freud e Jung, il rischio era realizzare qualcosa di noioso, con dialoghi lunghi e verbosi; invece non è accaduto. Lo avvertivo già durante la lavorazione: ero molto coinvolto a livello emozionale, anche nelle conversazioni che avevo con gli altri attori, soprattutto con Fassbender.
BM: Come artista e come uomo aveva già incontrato la psicoanalisi nella sua vita?
Viggo Mortensen: Certo, in realtà penso che sia qualcosa presente nella vita di tutti noi. Il modo in cui in cui leggiamo un libro, come ci relazioniamo alla famiglia, come guardiamo un film… tutto, ora, ha a che fare con le nuove idee introdotte da Freud e Jung. Perché le cose accadono? Perché mi sto comportando così? Perché sono così arrabbiato? Queste sono domande che noi oggi accettiamo come naturali e spontanee, ma all’epoca dei due medici non lo erano affatto. La nuova scienza di Freud è nata più o meno negli stessi anni del cinema ed entrambi hanno rivoluzionato la visione del mondo, creando qualcosa che prima non esisteva. Inoltre circa venti anni fa, per un breve periodo, sono stato in analisi. L’ho trovato un percorso interessante e utile.
BM: Dove la rivedremo prossimamente?
Viggo Mortensen: In On The Road (di Walter Salles, tratto dall’omonimo romanzo di Jack Kerouac, ndr), dove interpreto Old Bull Lee. Come è successo la prima volta che mi è stata proposta la parte di Freud, all’inizio non ero convinto di poter accostarmi a questo personaggio, ma poi i registi mi hanno rassicurato, dicendomi che avevo l’approccio giusto. Un tratto accomuna Freud a Old Bull Lee: gli altri li guardano con ammirazione, vogliono imparare da loro. (Foto Luca Maragno)