At Any Price. A qualsiasi costo. Abbandonare la propria famiglia, infrangere le leggi, lasciare sul lastrico un collega, chiudere entrambi gli occhi di fronte a un marito infedele, ferire i propri cari, deludere le loro aspettative. Per partire alla scoperta di se stessi verso imprese ardite, costruire un impero agricolo, custodire fino in fondo il proprio focolare domestico o diventare pilota professionista.
I sogni hanno un prezzo altissimo per Ramin Bahrani, regista newyorchese di origini iraniane che ha presentato il suo quarto lungometraggio di finzione in concorso per il Leone D’Oro alla 69esima Mostra di Venezia, dove torna dopo il Premio Fipresci ottenuto al Lido nel 2008 con Goodbye Solo. E, pur inseguiti pagando gravi scotti, s’infrangono uno dopo l’altro dietro il compromesso, la rinuncia, il dolore soffocato e il crimine, per una famiglia di imprenditori agricoli dell’Iowa.
Per inscenare il suo dramma, il regista ha chiamato all’appello Dennis Quaid, Heather Graham, Kim Dickens, Maika Monroe e l’ex star di High School Musical, Zac Efron, che proprio dalla faccia pulita del personaggio disneyano che lo ha reso celebre sta cercando di emanciparsi “at any price”, con ruoli da maledetto alla James Dean. Dopo averlo visto duettare a Cannes nel controverso The Paperboy di Lee Daniels, accanto a Nicole Kidman, lo troviamo qui nei panni di un ventenne spavaldo e ribelle. Che però sono decisamente lontani dalla sue corde.
At Any Price, d’altra parte, ha il suo perno e punto di forza nella convincente e struggente interpretazione di Quaid, che si cala perfettamente nel ruolo di agricoltore-imprenditore senza scrupoli, di marito fedifrago e padre premuroso, ma incapace di lasciare che i propri figli prendano la propria strada. Non riuscendo a impedire il viaggio-fuga del maggiore, riversa ogni speranza sul più piccolo (Efron), che non però non vuole più saperne di campi, grano, clienti e raccolte. Ha un talento innato come pilota ed è disposto a sacrificare tutto, compresi i risparmi della madre, per una chance che tramuti l’hobby in professione. Un sogno che, tuttavia, sprofonderà nel sangue, proprio in in campo di grano quando un imprevisto metterà in ginocchio il padre e l’intera azienda di famiglia.
L’epilogo, ben lontano dall’happy end, lascerà l’amaro in bocca ai protagonisti come al pubblico. E non solo per la “risoluzione” del dramma, che vedrà seppellire qualunque morale sotto un cumolo di grano contaminato, frutto di menzogne e raggiri. Ma soprattutto per via di una costruzione narrativa che raramente raggiunge il pathos ricercato e inseguito (quando ci riesce è solo grazie a Quaid) e che manifesta non pochi problemi di scrittura, con spostamenti dall’asse principale privi della forza necessaria.
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