Venezia 69, ecco The Iceman: padre modello, marito affettuso, killer sanguinario
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Venezia 69, ecco The Iceman: padre modello, marito affettuso, killer sanguinario

Il regista Ariel Vromen ci racconta il suo agghiacciante noir con Micheal Shannon e Winona Rider

Venezia 69, ecco The Iceman: padre modello, marito affettuso, killer sanguinario

Il regista Ariel Vromen ci racconta il suo agghiacciante noir con Micheal Shannon e Winona Rider

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Ariel Vromen ha una barbetta brizzolata, corta, ispida e rada. Al tavolo della Terrazza Di Saronno, davanti al Casinò del Lido di Venezia, si prepara alle interviste scegliendo dal menù quel che vuole mangiare per pranzo: “Ho in ballo un progetto da 60 milioni con la Sony, per me sarebbe la svolta. Gran bella sceneggiatura.” Di Vromen bisogna sapere tre cose: è mezzo israeliano e mezzo olandese, il che gli conferisce una schiettezza un po’ scorretta tutta europea (“The Irishmen? L’ho visto, ma a dir la verità non mi è sembrato granché”); è laureato in legge, oltre che in cinema, il che fa capire quanto gli piaccia studiare (e cavillare); ed è al Festival di Venezia per presentare fuori concorso The Iceman, un gangster movie ambientato negli anni Settanta che ha scritto, diretto e prodotto, e che, a dispetto del titolo, brucia come l’inferno.

Il protagonista del titolo è il famigerato Richard Kuklinski, origini polacche, padre violento, fratello ergastolano. Uno che fino ai 25 anni campa ammazzando ragazzini e duplicando pellicole pornografiche, e poi viene di colpo reclutato per fare il sicario da un piccolo boss della mafia italo-americana (Ray Liotta, chi sennò?) che riconosce il suo talento (“quest’uomo è freddo come il ghiaccio”, dice dopo avergli puntato una pistola sul naso senza rubargli nemmeno un sospiro). Nel frattempo Kuklinski conosce pure la moglie, ragazzina timorata di Dio e in cerca di sicurezza (Winona Ryder, sempre brava, con quella nota tragica fissa in volto), che sposa e da cui ha due figli. A lei, racconta d’essere un broker.

Ma il nocciolo della faccenda è che Richard Kuklinksi, sullo schermo, lo interpreta Micheal Shannon, uno che “se lo scegli lo sai: è un ragazzo allegro e spiritoso, ma quando arriva sul set ci porta l’oscurità”. Oggi come Shannon ce n’è in giro pochi, forse giusto Tom Hardy: sono attori che, da soli, ti portano a casa il film.
L’oscurità di cui parla Vromen, Shannon la proietta in molti sensi: è alto come una montagna, ha mani enormi, spalle larghe e un portamento dinoccolato che lo fa apparire ancora più grosso di quanto non sia (non è certo il tipo che va in palestra). Quando si parla di “presenza minacciosa”, si pensa a lui. “Per di più è uno da due ciak al massimo, e quando montavo quasi sempre tenevo il primo. Il che è molto importante se il tuo film è controllato dai sindacati e se gestisci un budget di meno di 10 milioni di dollari, perché hai poco tempo e orari intoccabili”.

Romanzo di formazione, ascesa e caduta criminale, che ha papà ovvi e augusti (Il padrino II, Quei bravi ragazzi, Toro Scatenato), The Iceman ha in realtà la peculiarità di restare sempre ai margini della malavita vera e propria, concentrandosi sul privato di Kuklinski e sui suoi conflitti emotivi. “Era un uomo afflitto da un evidente sdoppiamento della personalità. Quando lo incontrai (Kuklinski è morto in carcere nel 2006, ucciso “in circostanze sospette” per impedirgli di testimoniare contro una famiglia mafiosa, NdR) mi colpì il fatto che passava dal parlare con foga dei suoi omicidi, oltre 100, al chiedere cortesemente un succo di frutta, con surreale naturalezza”.

Nel film vediamo il papà-killer preparare dei panini al cianuro o sgozzare un balordo, poco dopo o poco prima aver portato la moglie febbricitante dal dottore o abbracciato una delle figlie. Un po’ come se il folle Tommy DeVito di Joe Pesci in Quei Bravi Ragazzi, fosse stato anche un padre e marito modello. E se pure la contraddittorietà psicologica che regge il film – giustificata schematicamente dall’infanzia violenta di Kuklinski – non è certo nuova, la capacità di Shannon di riversare nel personaggio una rabbia folle, malata, è insuperabile. E conferisce a The Iceman sfumature che lo spingono ai limiti dell’horror.

Film svelto, prevedibile, elegante, pieno dialoghi secchi da mandare a mente, il film di Vromen vive soprattutto di scrittura e recitazione, senza ghirigori registici, e piacerà parecchio agli amanti del genere, meno a tutti gli altri. “Ma non mi sono posto troppo il problema”, dice Vromen: “Fare un film è un tale casino, che tanto vale farlo buono”.

(Foto Getty Images)

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