«Tre o quattro anni fa, ascoltavo in macchina il mio programma radiofonico preferito, New Sounds. E ho scoperto la musica di Enzo Avitabile, di cui sono diventato un fan ossessionato. Poi ho avuto la fortuna di conoscerlo di persona e anche se non parliamo bene l’uno la lingua dell’altro c’è stata subito intesa». Ha raccontato così, il regista Jonathan Demme la nascita del suo documentario, Enzo Avitabile Music Life (leggi la recensione del film), presentato in queste ore – fuori concorso – alla stampa della 69esima Mostra di Venezia.
«Credo nelle leggi di causa-effetto che regolano il mondo e il nostro incontro ne è frutto. Jonathan è un genio: ho fatto un film e non me ne sono accorto» ha aggiunto il musicista napoletano, che con questa opera ci permette di esplorare i retroscena della sua arte, il suo background e la sua città. In maniera inedita. «Conoscevo Napoli da turista, ma volevo mostrare la città che appartiene a Enzo, quella non convenzionale, meno nota» ha sottolineato il regista, interessato soprattutto a scoprire «Chi è quest’uomo? Da dove viene? Da dove arriva la sua musica?».
Dal quartiere periferico di Marianella, «un antico sito romano, una terra di luce», e dall’esistenza «del juke box, che mi ha permesso di conoscere la black music e di trovavare il mio linguaggio, la mia forma espressiva e di poter usare il dialetto andando oltre i suoi stereotipi» come ha raccontato lo stesso Avitabile, che ha affermato di sperare che la sua storia sia un messaggio di incoraggiamento per i giovani, che arrivano dalle zone meno fortunate di Napoli, dell’Italia e del mondo: «Attraverso il racconto della mia vita, vorrei che capissero che i sogni esistono e si avverano».
Proprio l’originalità e la ricchezza di contaminazioni della sua musica hanno fatto breccia nel cuore di Demme: «La sua è una musica che unisce, senza confini».
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