Venezia 71: Attacco frontale alle istituzioni, da Napolitano in giù. Sabina Guzzanti: «La trattativa è inattaccabile»
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Venezia 71: Attacco frontale alle istituzioni, da Napolitano in giù. Sabina Guzzanti: «La trattativa è inattaccabile»

Applausi (e polemiche in agguato) per il nuovo lavoro dell'attrice e regista sulla trattativa Stato-Mafia, presentato oggi Fuori Concorso

Venezia 71: Attacco frontale alle istituzioni, da Napolitano in giù. Sabina Guzzanti: «La trattativa è inattaccabile»

Applausi (e polemiche in agguato) per il nuovo lavoro dell'attrice e regista sulla trattativa Stato-Mafia, presentato oggi Fuori Concorso

Una qualità certamente inattaccabile (non indiscutibile; usiamo le sue stesse espressioni) di Sabina Guzzanti è la sicurezza – che forse per alcuni ha il sapore della saccenteria e dell’arroganza – con cui affronta e propone i suoi film, e la verità che vi sta dietro.

La trattativa, nuovo progetto della regista, attrice, sceneggiatrice e produttrice presentato oggi Fuori Concorso al Festival di Venezia (leggi la recensione), non si esime da questa constatazione. Perché questo racconto della trattativa tra Stato e Mafia, messo in scena attraverso efficaci ricostruzioni di finzione a cui si alternano numerosi filmati di repertorio e testimonianze dirette, attacca apertamente le istituzioni italiane attenendosi a quelli che sono i fatti realmente accaduti e ripetutamente comprovati, concedendosi solo alla fine di immaginare quanto potrebbe essere stato contenuto nell’agenda rossa di Borsellino. «Ogni singola parola inserita nella sceneggiatura è stata ricontrollata 1.600 volte. C’è una totale onestà dietro ogni affermazione e nella riproposizione degli eventi. Esiste un documento ufficiale, che tra l’altro viene mostrato nel film, che attesta come Giorgio Napolitano abbia fatto pressioni sulla Cassazione e sul procuratore Pietro Grasso per intervenire a favore di Nicola Mancino, un indagato».
Si fa scudo così la Guzzanti, quando viene interpellata sulle questioni più spinose che La trattativa solleva e che certamente non mancheranno di scatenare dibattiti e polemiche, oltre agli applausi che questa mattina hanno accolto la proiezione del film. «Non me li aspettavo; a dire il vero non mi aspettavo niente. È da una settimana che vivo in preda al delirio» confessa, tradendo l’apparente tranquillità con cui affronta i giornalisti e difende un progetto che non ha mancato di procurarle momenti di depressione e paura.
Sa di essere la star del giorno e, nonostante lo definisca più volte «inattaccabile», sa che La trattativa potrebbe suscitare reazioni contrastanti. E che forse potrebbero arrivare ora quelle intimidazioni che per fortuna non sono mai arrivate durante la lavorazione: «Certo si sono verificate diverse situazioni spiacevoli, ma è perché viviamo in un momento storico spiacevole».

Una lavorazione che è costata a Sabina parecchi anni di ricerca e studio («Mi sono ascoltata tutte le registrazioni dei processi messe a disposizione da Radio Radicale»), prima di arrivare al momento di svolta con cui ha finalmente trovato la chiave da dare al film: «Mentre mi documentavo ho abbozzato diverse sceneggiature, tutte possibili e tutte molto diverse tra loro. Poi un giorno ho rivisto il corto di Elio Petri con Gian Maria Volonté, che è citato esplicitamente nel film e che mi ha ispirato l’idea di usare la trasposizione teatrale per raccontare quello che finora si sa della trattativa Stato-Mafia. Un meccanismo che consente di passare in modo molto omogeneo dalla finzione alla parte documentaristica e che certamente dà molta libertà creativa».

Dà anche la possibilità di spiegare in maniera quasi didattica (anche attraverso l’uso di escamotage e animazioni grafiche) come gli attentati dei primi Anni Novanta avessero l’obiettivo di azzerare i rapporti intrattenuti con le istituzioni fino ad allora per ricostruirli da zero attraverso il coinvolgimento di nuovi attori, più rassicuranti; come la mancata perquisizione al covo di Totò Riina sia stata impedita dai vertici dei servizi segreti (leggi: il generale Mario Mori); come Marcello Dell’Utri sia stato «il cavallo di Troia della Mafia nel più grande impero economico» dell’Italia di allora (la Fininvest di Silvio Berlusconi); e ancora come nel 1994 a tutti gli affiliati di Cosa Nostra fosse stato ordinato di votare Forza Italia.
Solo alcuni esempi dei tanti “assiomi” di cui si compone un film che prova a fare sintesi e si propone di «mettere tutti in grado di capire e approfondire fatti che hanno cambiato il corso della nostra democrazia – sempre nelle parole del suo deus ex machina – partendo dall’assunto che se non ci fosse stata questa trattativa l’Italia oggi sarebbe un Paese diverso e migliore, e forse avremmo ancora anche Falcone e Borsellino, che erano due persone in gamba. Penso che ci sia ancora troppa ignoranza rispetto agli attori di questa collusione, soprattutto quando si tratta di esponenti che ancora sono al potere. Chi ha preso quelle decisioni? Da dove viene quest’Italia che abbiamo sotto gli occhi, governata da istituzioni che hanno paura della democrazia? Come un Paese può essere cambiato in maniera così rapida? Questo film dà tutte le spiegazioni che servono».

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(Foto: Getty Images)

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