Ma chi glielo fa fare? Commentano due dei protagonisti del film in una delle scene più divertenti, che – come da tradizione Laika – compare alla fine dei titoli di coda (non abbandonate la sala prima!).
Il riferimento è al lavoro degli artisti (è il caso di dirlo) che hanno dato vita a questo nuovo capolavoro in stop motion 3D, che per le ambientazioni gotiche e dickensiane ricorda il miglior Tim Burton e si serve del tratto grafico di Michel Breton (già disegnatore delle scenografie di Appuntamento a Belleville).
I creatori di Coraline e la porta magica e ParaNorman non smettono di stupire e di impressionare per la qualità, l’accuratezza e l’attenzione al minimo dettaglio dei loro progetti (ci sono voluti anni e più di 350 persone per animare l’universo e i personaggi di Boxtrolls – Le scatole magiche). Questa volta prendono ispirazione – semplificandolo molto – dal libro Arrivano i mostri! (in originale Here Be Monsters!) di Alan Snow per catapultarci nel regno di Pontecacio, dove in superficie abitano umani che vanno matti per i formaggi e sottoterra vive un intero esercito di Boxtrolls, mostricciatoli vestiti di scatole, tanto temuti dai primi quanto innocui nella realtà. Con loro è cresciuto il piccolo Uovo, un bambino rapito – o consegnato, la versione degli umani non coincide con quella dei Boxtrolls – alcuni anni prima e subito ribattezzato così dal nome della scatola che indossa e dentro cui si nasconde, o almeno ci prova. E con loro ha imparato a uscire allo scoperto solo di notte per “rubare” dal mondo degli umani piccoli oggetti con cui costruire il proprio, facendo attenzione a non incappare nelle trappole dei disinfestatori, che sotto la guida dello spietato Archibald Arrafa hanno il compito di ripulire la città da queste creature. Aiutato dalla principessina Winifred, figlia del governatore Gorgon-Zole, Uovo entrerà in missione per smascherare i veri piani di Arrafa (l’uomo ambisce a un posto nel governo della città) e rivendicare la verità sul suo rapimento e sulla pacifica indole dei Boxtrolls.
Non vi sveliamo oltre, perché la forza del film sta – se non in veri e propri colpi di scena: la storia è semplice e lineare – nel lento svelamento della realtà. Nella sorpresa che si legge negli occhi di Uovo e Winifred quando si incontrano per la prima volta; nella meraviglia della ragazzina quando davanti a lei si apre l’arruffato e meraviglioso mondo delle scatole magiche o ancora in quella di lui nel momento in cui prende coscienza del proprio corpo e della propria natura di essere umano.
Pur toccando temi che il cinema d’animazione ha già affrontato a più riprese – la diversità, il vero significato di famiglia, il discernimento tra Bene e Male, l’ottusità degli adulti che crolla davanti alla perspicacia dei bambini – Boxtrolls – Le scatole magiche trova il modo di rilanciarli, aggiungendone di nuovi. Come la critica a un sistema di governo perso nella sua vanità e incapace di assolvere al proprio compito e di soddisfare i reali bisogni dei suoi cittadini (durante una festa di gala il governatore annuncia pubblicamente di aver preferito devolvere i fondi destinati a un ospedale pediatrico per l’acquisto di una forma gigantesca di Brie). Ci riesce trapuntando l’intero film di uno humour à-la Monty Python, evidente nella trasformazione di Arrafa nel suo alter ego femminile, tale Madame Fru Fru, ma presente anche nella caratterizzazione di ciascuna scatola magica e nel loro modo buffo di parlare e interagire (vedi alla voce: effetto Minions).
Forse non tutti i bambini, specie i più piccoli, rimarranno immediatamente rapiti da questo universo poco luminoso, popolato da brutti ceffi, dove gli uomini portano abiti gessati e lunghi baffi e le donne si muovono sotto voluminosi vestiti e parrucche ricciolute; ma siamo sicuri che il fascino e la simpatia delle scatole saprà trascinarli all’interno di una storia dove – come insegna Roald Dahl – gli adulti non ne escono troppo bene e a fare la parte del leone sono proprio loro, i bambini.
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