Chiusura in grande stile per il Festival di Venezia con un kolossal western firmato da Antoine Fuqua, che è stato anche il film d’apertura del Festival di Toronto. Doppia attenzionalità dunque per il film che è un remake del classico di John Sturges del 1960 con Yul Brinner, Eli Wallach, Steve McQueen, Charles Bronson e James Coburn accompagnato dall’intramontabile tema musicale di Elmer Bernstein.
A Hollywood hanno pensato di riproporlo (il film a sua volta prendeva le mosse dal capolavoro di Akira Kurosawa I sette samurai), per farlo scoprire alla generazione dei giovanissimi, reclutando attori di un certo calibro come Denzel Washington, Chris Pratt, Ethan Hawke, Vincent D’Onofrio, Matt Bomer e Peter Sarsgaard e mettendo a disposizione un ampio budget.
Il risultato è un western-action di due ore muscolare e violento, ma con pochissimo sangue versato (sebbene di individui ne muoiano a centinaia), per garantire ovviamente l’agognato PG 13. La storia è presto detta e molto simile a quella dell’originale a cui aggiunge una coda da revenge movie: gli abitanti della piccola e pacifica Rose Creek sono vessati dal magnate Bartholomew Bogue (Sarsgaard, nei panni di un odioso villain tanto per cambiare). Stufi dei soprusi e degli omicidi, l’ultimo dei quali avviene davanti alla chiesa incendiata del paese, assoldano un manipolo di uomini pronti a tutto formato da un cacciatore di taglie, un giocatore d’azzardo, un bandito e sicari di vario genere che si sacrificheranno per la salvezza degli abitanti del villaggio.
Ci sono due difetti fondamentali – figli del marketing – che tutti questi film di recente produzione in cui viene raccontato il formarsi di un team, di una squadra, specie se di outsider (vedi Suicide Squad), presentano. Primo: l’irritante necessità che tutte le categorie – specie le “minoranze” – vengano rappresentate per non offendere nessuno. E quindi tra i sette pistoleri devono necessariamente figurare un nero, un messicano, un indiano d’America, un nordcoreano e una donna che sappia sparare. Secondo: la trascuratezza e anche un po’ il non-sense con cui si riproduce a forza e senza reali motivazioni, un amalgama tra membri messi insieme a caso. Come diventino amici e attraverso quali passi non ci è mai mostrato chiaramente, come se la semplice vicinanza li potesse rendere compari (un errore non commesso ad esempio in Avengers).
Washington, che sembra destinato a non invecchiare mai, è convincente come carismatico leader del wild bunch; Pratt deve stare molto attento a non rimanere intrappolato nella maschera dell’eroe comico regalatagli da Guardiani della galassia; Hawke funziona nella parte del cecchino in crisi, mentre D’Onofrio offre la caratterizzazione più originale e convincente con la voce in falsetto e le frasi da predicatore.
Oltre che per il cast e le panoramiche che catturano l’occhio, difficile annoiarsi con un film che regala una buona mezz’ora di combattimenti adrenalinici a suon di colpi di mitragliatrici, pistole, accette, frecce e coltelli letali. Un popcorn movie che fa il suo onesto lavoro di intrattenimento, ma senza alcun guizzo né da parte di Fuqua, il quale solitamente si adagia sul copione, né da parte dello script stesso (firmato dal Nic Pizzolatto di True Detective e Richard Wenck), che potrebbe fornire riflessioni morali più profonde, ma preferisce concentrarsi sull’azione.
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