Andréi Konchalovski è stato premiato con il Leone d’argento per la regia a Venezia con un film tosto sull’Olocausto, Paradise (qui la recensione). Parla di quella grande e terribile illusione che fu il paradiso tedesco, quando il popolo guidato da Hitler credeva di poter affermare la superiorità della razza ariana attraverso la pulizia etnica. Per raccontare un tema stra-abusato da una prospettiva nuova mette in scena tre individui, un collaborazionista francese, un giovane gerarca nazista e un’aristocratica russa caduta in disgrazia i cui destini si incrociano. I personaggi vengono introdotti attraverso delle interviste, che servono a stabilire la loro collocazione dopo la morte.
Abbiamo incontrato il regista, che oltre ai film impegnati , ha anche un passato hollywoodiano risalente agli anni ’80 quando diresse film come Maria’s Lovers, A 30 secondi dalla fine, Homer and Eddy e Tango & Cash.
Ecco cosa ci ha raccontato:
BM: Che cosa vuol dire per lei tornare a Venezia in concorso, qui dove esordì e venne premiato con un cortometraggio?
Andréi Konchalovski: Sono venuto qui quando ero ancora un studente. Vnezia ha cambiato la mia vita e la mia percezione del mondo. È stata la prima volta che sono uscito da Mosca e c’era qualcuno che suonava e cantava per strada e io ho chiesto se per caso ci fosse qualche festa nazionale in corso e mi dissero che era così tutti i giorni. Rimasi sconvolto perché in Russia non avevo mai visto nulla del genere. Qua sono venuto a contatto con la grande cultura europea, peccato che progressivamente abbia assistito anche alla sua erosione.
BM: Che cosa l‘ha spinta a raccontare la storia di Paradise?
A.K. : Quando sei libero, ti basta chiudere gli occhi e ogni giorno ottieni delle rivelazioni ed è così che è nato il mio film giorno dopo giorno. Io ho fatto molti film a Hollywood alla fine degli anni ’80, ma dopo il successo stratosferico della saga di Star Wars Hollywood si è messa a fare film solo per ragazzini e si è dimenticata dei genitori. Inoltre, dal momento che durante il film si mangiano un sacco di pop corn, bisogna alzare il volume dei film, per riuscire a sovrastare quel rumore. Sarebbe stupido da parte mia cercare di spiegare il mio film, cercare di offrire un significato semplice, ma quel che posso dire è che – sperando di non risuonare come una sorta di Dalai Lama – la vita dipende da noi, dalle scelte che facciamo. E che è troppo importante per buttarla via.
BM: Lei prima parlava di libertà creativa. Qual è il suo rapporto con i produttori?
A.K. : È molto difficile essere liberi nel fare film. Negli anni ’20 Charlie Chaplin era un genio, ma faceva film per fare soldi e per rendere felice l’audience. Era un talento, ma nel momento in cui devi preoccuparti di far tornare nelle tasche dei produttori i soldi smetti di essere libero. Una volta uno mi disse: “Perché non muovi la camera? Devi muoverla!”, e io gli risposi: “Fanculo! Il regista sono io”. Il futuro del filmmaking sarà scritto da persone che se ne infischieranno dei soldi e spenderanno tutto quello che hanno per realizzare i loro film.
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