In tempi ormai comunemente identificati con l’imbarbarimento del linguaggio – il suo abuso e svuotamento di valore -, Arrival ribalta la prospettiva, riflette sulla natura della comunicazione e la mette al centro dell’universo, direttamente in connessione con lo spazio e il tempo. Suggerisce in particolare che dal suo ripensamento – un ripensamento quantitativo, cioè matematico, e non storico o antropologico – passi l’unica possibilità di progresso, convivenza e sopravvivenza che abbiamo a disposizione, cioè il superamento della logica causa/effetto su cui è fondato il sistema di pensiero che ci sta portando all’estinzione.
Il discorso richiederebbe ovviamente un approfondimento, liquidarlo in tre righe è improponibile, ma lo slancio intellettuale di Villeneuve – che traduce per immagini un meraviglioso racconto di Ted Chiang chiamato Stories of Your Life, e una sceneggiatura di Eric Heisserer meno memorabile del film – non dà mai luogo a un’opera pretenziosa o cervellotica, come capita spesso a Nolan: Arrival è una bella storia, misteriosa e romantica, capace di tenerti sulla corda e farti commuovere.
La protagonista è Louise (Amy Adams), una linguista di fama internazionale che viene contattata dall’esercito per stabilire un canale di comunicazione con una popolazione aliena appena sbarcata sulla terra, a bordo di dodici enormi navi elittiche, sparse per il globo. Di fronte a una specie extraterrestre, infatti, qualsiasi altro progetto non può prescindere dalla creazione di un idioma comune. A partire da questo stallo, molto meno banale di quel che sembra – basti pensare alla differenza tra i sistemi di scrittura ideografici e fonetici -, si svolge il viaggio di Louise e degli altri protagonisti, un fisico teorico (Jeremy Renner), un ufficiale dell’esercito (Forest Whitaker), e vari rappresentanti delle istituzioni politiche e militari.
Naturalmente i due scienziati sono gli unici ad avere un approccio puramente intellettuale, una curiosità scevra di valutazioni strategiche. Su questo piano tecnico ed emotivo, simile a una lavagna bianca, si deposita pian piano il residuo comune di mondi lontanissimi, che diventa segno, poi comprensione, infine progresso. Peccato che nel frattempo le superpotenze terrestri si stiano avviando velocemente a una crisi di nervi internazionale che potrebbe avere conseguenze disastrose.
Arrival è un bell’esempio di fantascienza politica, un dramma efficace, una storia molto romantica e l’esito migliore del talento visionario di un fenomeno della macchina da presa come Denis Villeneuve.
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