Venezia 73: The Bad Batch, Ana Lily Amirpour:«Ho scelto Suki perché è una gladiatrice e non una partygirl»
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Venezia 73: The Bad Batch, Ana Lily Amirpour:«Ho scelto Suki perché è una gladiatrice e non una partygirl»

Abbiamo incontrato la regista e l'attrice del film, protagonista di un'avventura terribile, ma a tratti romantica, nel cuore del deserto alle prese con un gruppo di cannibali. Al suo fianco Jason Momoa, Keanu Reeves e Jim Carrey

Venezia 73: The Bad Batch, Ana Lily Amirpour:«Ho scelto Suki perché è una gladiatrice e non una partygirl»

Abbiamo incontrato la regista e l'attrice del film, protagonista di un'avventura terribile, ma a tratti romantica, nel cuore del deserto alle prese con un gruppo di cannibali. Al suo fianco Jason Momoa, Keanu Reeves e Jim Carrey

Una bellissima ragazza, col corpo e il viso della modella e attrice Suki Waterhouse, approda nel deserto e viene catturata da un gruppo di cannibali che le amputano parti del corpo per cibarsene. La ragazza, con uno stratagemma, riesce a scappare nonostante sia priva di una gamba e di un braccio e grazie all’aiuto di un vagabondo (un Jim Carrey in vesti di strambo e salvifico angelo custode) riesce ad approdare a Comfort, una specie di mondo a parte dove approdano tutti quelli del “lotto difettoso”, il Bad Batch del titolo, ovvero tutti gli outsider, i freak, i disadattati del mondo. Comfort è dominata da una sorta di guru (Keanu Reeves), che promette a tutti la realizzazione del loro sogno personale. La ragazza, intanto, meditando vendetta, incontra una delle donne del gruppo dei cannibali e la uccide davanti alla sua bambina, che poi porta con sé a Comfort, ma perde quasi subito. Sulle tracce della piccola c’è anche il padre, il monumentale Jason Momoa, che convince la ragazza a trovarla per lui. Una storia sui generis quella di The Bad Batch (qui due clip del film), intrisa di metafore e simboli, come lo sono sempre quelle di Ana Lily Amirpour, regista di origini iraniane che tanto scalpore aveva suscitato al festival di Roma col suo precedente vampire movie A Girl Walks Home Alone At Night. Abbiamo incontrato la regista, ragazza tosta e un po’ maschiaccio, e la splendida protagonista in un abito lungo un chilometro color pesca per coprire tutta la sua altezza e ci siamo fatti raccontare la loro incredibile avventura nel deserto. Ecco cosa ci hanno detto.

BM: Come mai ha scelto proprio Suki Waterhouse come protagonista di questo suo film?

Ana Lily Amirpour: «Non volevo lavorare con una star acclamata, anche se nel film ci sono attori importanti come Reeves, Carrey e Momoa. Per me il film è una sorta di favola, per cui volevo che fosse bella, ma anche forte come una guerriera. E Suki è come un gladiatore ma non sa di esserlo. E poi mi piaceva il fatto che non facesse parte di quel mondo di giovani star che partecipano a tutti i party… Io faccio una vita molto semplice e trovo quel mondo molto strano».

BM: L’utilizzo della musica nei tuoi film è sempre molto importante. Si potrebbe dire quasi superiore ai dialoghi. Come mai questa scelta?

A.L.A.: «Amo la musica, trasmette le emozioni in modo diretto, anche più delle parole che occupano circa il 30% del film. Mi piace coinvolgere di più lo spettatore dal punto di vista visivo e poi amo l’action e qui racconto la storia di una ragazza perduta nel deserto».

BM: Quali sono i suoi modelli di riferimento? I suoi registi preferiti?

A.L.A.: «Adoro Zemeckis: è il mio Orson Welles. Ho rivisto da poco Cast Away e penso sia straordinario. Tutta la trilogia di Ritorno al futuro è parte di ciò che sono come regista. Amo David Lynch, perché trovo sia così coraggioso. E poi non sono italiana e sento molti italiani che ne parlano male, ma adoro Paolo Sorrentino. Ho visto Youth e poi La grande bellezza e sono rimasta colpita da tutto e dalla musica. E poi amo Sergio Leone e tutta la saga di Die Hard».

A.L.A.: «Mi piacerebbe fare James Bond, ma solo se sapessi di avere il controllo creativo del progetto».

BM: Suki, come è stato per te che arrivi dalla moda il passaggio al mondo del cinema?

Suki Waterhouse: «Beh, è stato uno shock incredibile. Ho fatto un’audizione con Lily, in cui ho preso contatto con la sua visione del film, e lei è così originale, così vera… E quando mi ha presa non sapeva neppure che io venissi dal mondo della moda. Ha cambiato la mia vita e anche la mia percezione di me stessa. Non che prima ne fossi priva, ma un conto è fare una pubblicità per un paio di scarpe, un bello scatto e via, ma fare un film di questo genere nel bel mezzo del deserto e nelle condizioni in cui vengo ridotta era assolutamente lontanissimo dalla mia comfort zone. Ho sempre desiderato fare l’attrice, ma avevo paura di rovinare il film, ero terrorizzata e assolutamente a disagio. E’ stata l’esperienza più significativa e profonda della mia vita».

È stato difficile prepararsi fisicamente per questo ruolo?

S.W.: «Sì molto. Ho dovuto esercitarmi molto a strisciare per terra con il braccio destro legato dietro la schiena. Se per caso diventavo pigra con i movimenti del  braccio mutilato, Lily mi sgridava, perché non ero abbastanza autentica. E poi mi mettevano un peso sulla gamba di modo che non avessi bisogno di caricare il movimento. E poi ho fatto parecchia pratica con lo skate-board. Ed è stata davvero dura».

Qual è stata la scena più difficile da girare nel film?

S.W.: «Quando ero coperta di m..da. Anzi no, quella in cui il corvo mi batte l’ala sul viso. E’ stato terribile».

Com’è stato girare con star incredibili come quelle del film?

S.W.: «L’incontro con le persone ti tocca profondamente; conoscere la loro vita, i passaggi attraverso cui sono passati. E con Keanu è stato un bell’incontro. E poi… Jim Carrey… caspita…».

Hai dovuto guardare film che ti sono stati assegnati dalla regista?

S.W.: «Mi ha fatto vedere tantissimi film, ma soprattutto documentari in cui si vedono persone che raccolgono la spazzatura, facendomene cogliere la bellezza, ma anche schizofrenici e disadattati di ogini tipo; persone che non sono ben inserite nella società».

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Foto: Getty Images

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