Uno scienziato norvegese trova e brevetta il sistema per rimediare al problema della sovrappopolazione e dei suoi derivati, cioè inquinamento e consumo delle risorse naturali, che rischiano di mandare il pianeta in tilt: si chiama “Downsizing”, cioè “rimpicciolimento”, e consiste nel diventare alti circa 12 centimetri. Piano piano in molti abboccano: nelle mini-metropoli per lillipuziani un normale reddito borghese si tramuta in una vita da nababbi. Tra questi c’è anche Paul Safranek (Matt Damon), fisioterapista aziendale in una catena di macellerie, sommerso dai conti da pagare e in cerca di una casa più grande per sé e la moglie. Il cambiamento sarà facile ma non indolore.
Alexander Payne (Paradiso amaro, Nebraska) fa una cosa sempre meritevole, usa gli effetti speciali lontano dalla frontiera tecnologica, e in funzione di una costruzione di senso. La convivenza tra uomini grandi e piccoli genera uno spaesamento fertile, soprattutto perché a questa separazione si arriva per gradi e ragioni, con una messa in scena asciutta ma piena di dettagli, in cui tutta la procedura e il mondo che le sta dietro è credibile. Ci sono tanti buoni momenti nella prima metà del film, quella in cui i coniugi Safranek prendono atto di questa possibilità e poi decidono di sceglierla, come la cena con i vecchi compagni di classe in cui si scopre che due di loro sono rimpiccioliti, o la piccola lite al bar quando un tizio mette in discussione il diritto di voto di chi si è trasformato.
Sono spunti che non convergono in una direzione precisa, o comunque in una vera compattezza, si capisce che Payne si è immaginato un mondo e un principio generale, e ha deciso di offrirlo agli spettatori. Poi nel secondo atto il film cambia completamente, assumendo una sfumatura vagamente apocalittica e al contempo la misura di una farsa etnica, con l’ingresso in scena di una rifugiata vietnamita e di un trafficante di beni di lusso (Christoph Waltz, comic relief di un film già di per sé buffo…). Qui il messaggio ecologico e anticapitalista diventa più esplicito, il romanticismo anche, e l’equilibrio surreale della prima parte si sgretola. Perfino la coerenza interna soffre qualche colpo, con conseguente estraniamento dalle vicende dei protagonisti.
Non è un brutto film Downsizing, strappa più di un risata risata, mette in testa qualche pensiero giusto e una certa malinconia, come ci si aspetta da Payne, poi sembra non saper bene che strada prendere, diventa troppe cose e nessuna.
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