Crisi di Fede per Don Giuseppe, che per fuggire dai possibili sentimenti che prova per una donna, si fa trasferire in una località campana prendendo il posto del parroco locale. Il luogo, però, è pura desolazione: per via dei rifiuti tossici, il tumore è diffusissimo, e i giovani non riescono proprio a vedere nessun possibile sbocco nel loro futuro, senza contare la malavita locale, i loschi tizi che comandano prepotentemente coi loro truci sguardi e per cui esiste una sola regola: il silenzio.
Don Giuseppe non demorde, ma anzi, tira avanti con assoluta solidità, nonostante tutti lo ammoniscano di non immischiarsi nelle faccende più oscure del paese: per lui potranno anche essere controverse, ma per gli abitanti è la normalità, la vita quotidiana ormai accettata.
Un ritorno nella sua terra per il napoletano Vincenzo Marra, che racconta una storia tanto intimista (il protagonista e la sua personale sofferenza) quanto scottante per gli argomenti che tira in ballo (l’indifferenza della Chiesa davanti alla criminalità organizzata), e lo fa con uno stile secco che fa della sobrietà la propria caratteristica vincente. La cinepresa segue il prete con composto rigore (a dargli volto è il pluripremiato drammaturgo e attore Mimmo Borrelli), ne coglie tacitamente forza e fragilità, accennando ogni tanto dei tocchi di enfasi ma senza mai cadere nel melodramma forzato da fiction televisiva.
Sì, il film poteva essere più potente, e molti comprimari pare non abbiano mai bazzicato una lezione di recitazione in vita loro (e no, non vale il vecchio teorema neorealista), ma a percepirsi, durante la visione, è anche la cristallina onestà dello sguardo di Marra, fino a quel gran finale che urla un nichilismo che sa, inevitabilmente, di dolorosa quanto rassegnata paralisi.
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