Venezia 75, Spike Lee: "Sì a Netflix & Co., ma senza perdere la magia del grande schermo". La nostra video-intervista
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Venezia 75, Spike Lee: “Sì a Netflix & Co., ma senza perdere la magia del grande schermo”. La nostra video-intervista

Il regista di BlacKkKlansman, in occasione della Masterclass di Mastercard sull'innovazione dell'esperienza creativa e del futuro del cinema, ci ha parlato dei temi per lui più caldi: il razzismo, l'amministrazione Trump, i film sullo smartphone e molto altro ancora

Venezia 75, Spike Lee: “Sì a Netflix & Co., ma senza perdere la magia del grande schermo”. La nostra video-intervista

Il regista di BlacKkKlansman, in occasione della Masterclass di Mastercard sull'innovazione dell'esperienza creativa e del futuro del cinema, ci ha parlato dei temi per lui più caldi: il razzismo, l'amministrazione Trump, i film sullo smartphone e molto altro ancora

Ieri nell’ambito del Festival di Venezia si è svolta la Masterclass di Mastercard sull’innovazione dell’esperienza creativa e i possibili scenari futuri del cinema, di cui potete vedere qui la diretta Facebook, con protagonisti Spike Lee, David Cronenberg, Sandy Powell, Susanna Nicchiarelli e Blanca Suarez. Abbiamo incontrato Spike Lee a tu per tu, per approfondire questi argomenti e parlare anche dei temi a lui più cari: il cinema, il razzismo, la resistenza attiva alla politica di Trump e i valori a cui l’America dovrebbe ritornare. Ecco che cosa ci ha raccontato nell’intervista video qui sotto.
Mr. Lee, qual è stato il film o il momento della sua carriera che ha rappresentato un punto di svolta nella visione generale del cinema?
«Non penso che sia stato un film, ma qualcosa che sta evolvendo ancora oggi. Il mio primo film, in Italia fu chiamato Lola Darling, del 1986 e siamo arrivati oggi al 2018, in cui ho avuto la benedizione di vincere un Premio della giuria a Cannes per BlacKkKlansman. Non si è trattato di un momento decisivo. È un processo, una continua evoluzione durante i decenni della mia attività di regista. Non è stato un film, non è stato “uno momento” (dice in italiano, ridendo, e ironizzando sul mix di spagnolo e italiano che ha usato, ndr).
Un artista ha bisogno del potere dell’ispirazione. Chi la ispira o dove trova l’ispirazione oggi?
«Quello che dico è una mia opinione e non parlo a nome di nessun altro. Io sono aperto all’ispirazione da dovunque arrivi. Quando cammino per la strada e vedo o sento qualcosa. Per me significa essere aperti. L’ispirazione può arrivare da dovunque. A volte ancora oggi può essere una parola. E infatti per il mio terzo film Do the Right Thing avevo il titolo senza ancora sapere di cosa avrebbe parlato la storia. La storia è venuta dopo».
Sin da quel film, Do the Right Thing, i suoi film molto spesso trattano di razzismo. Lei pensa che tutti quei film abbiano cambiato la prospettiva delle persone rispetto a questo problema?
«Io penso di sì. Lo spero, perché, se guardi Do The Right Thing, che è uscito nel 1989, e BlacKkKlansman, che è del 2018, non molto è cambiato. E io ancora oggi sono tornato a parlare di razzismo come facevo molto tempo fa.
A proposito di questo tema durante il Festival di Cannes ha fatto molto rumore il fatto che lei abbia chiamato Trump “Motherfucker” (non una volta sola ci ha tenuto a precisare). Se ne è pentito? Cosa pensa della situazione attuale?
«No. Io spero che gli americani con le elezioni di metà mandato e tra due anni quando ci saranno le nuove elezioni presidenziali… (smette di parlare e fa il “gesto dell’ombrello”). Niente parole (dice, ridendo di gusto, ndr)».
Pensa di essere finito in una sorta di “libro nero” dopo quell’insulto?
«No. Io non penso che il prossimo presidente debba essere afroamericano, ma penso che abbiamo bisogno di qualcuno di progressista, che si preoccupi del razzismo, del sessismo, della discriminazione sull’età, del sistema sanitario, dell’educazione. Le cose fondamentali di cui l’America ha bisogno. E penso che ci voglia una nuova coalizione, come la coalizione che ha portato all’elezione di Obama per due mandati (che nonsono stati voluti solo dalla popolazione nera), che prenda il posto di questi repubblicani e riporti il Paese verso la positività e l’amore, e non verso l’odio. Perché l’attuale amministrazione punta prima di tutto al denaro e all’odio; usano l’odio per dividere gli americani. Questi motherfucker se ne devono andare e così possiamo andare oltre».
Tornando al tema della Masterclass di Mastercard, l’innovazione, l’anno scorso uno dei suoi film – She’s Gotta Have It – è diventato una serie tv per Netflix. Che cosa ne pensa del nuovo scenario aperto dal servizio streaming e delle nuove modalità di fruizione dei film?
«È stata un’idea di mia moglie farlo diventare una serie Tv e siamo stati molto felici che dopo diversi rifiuti Netflix abbia detto sì. Io sono molto felie per l’esistenza di Netflix, Amazon, hulu che danno ai filmmaker un posto per il loro lavoro, così come i network televisivi, ma io sono un regista “vecchia scuola” e mi dispiace vedere i film su uno schermo come questo (mostra il suo smartphone, ndr), va bene per gli show tv. Ma pensare che igiovani filmmaker e non solo vedano 2001: Odissea nello spazio su uno schermo come questo. Chi vede per la prima volta Apocalypse Now su uno schermo come questo. Star Wars… i tre film epici di David Lean, Dottor Zivago, Il ponte sul fiume Kwai, Lawrence D’Arabia in questo modo? Mi si spezza il cuore. Perché questi film sono stati fatti per un grande grande schermo. Ed è una cosa che stiamo perdendo…Non sono uno di quei dinosauri che pensa che tutta la tecnologia sia male, ma(scoppia a ridere) ho 61 anni e sono cresciuto prima che i film si vedessero sullo smartphone, andavo al cinema, e penso che certi film debbano essere visti sul grande schermo, con l’audio Dolby, in un cinema e che nient’altro ti dia la stessa sensazione».
Lei ha iniziato a fare cinema abbastanza giovane. Che consiglio darebbe a un giovane filmmaker che volesse fare il suo stesso lavoro?».
«Non ho iniziato tanto presto. Ho frequentato la scuola di cinema nel 1982. Io e Ang Lee eravamo compagni di classe. I due Lee. Potrei dire che i filmmaker che lo diventano velocemente sono quelli che sono anche sceneggiatori, che si crivono le loro storie. I registi-sceneggiatori sono quelli che hanno le opportunità più grandi».
Lei ha girato un film in Italia, Miracolo a Sant’Anna, qual è il suo rapporto con il nostro paese e il nostro cinema?
«Sono venuto la prima volta in Italia nel 1986 ed ho un gran bel rapporto con il paese, con la comunità cinematografica, girare Miracolo a Sant’Anna è stata una grande esperienza. Per quanto mi riguarda è una relazione d’amore».
E quali maestri del cinema italiano apprezza?
«Fellini, Visconti, Rossellini, tutti quelli del periodo successivo alla Seconda Guerra mondiale. Film come Roma città aperta, Paisà… tutti quei registi. Come si dice strong in italiano? (glielo sugeriamo). Forte! Anna Magnani, wow!, Sofia Loren…».
Altri maestri?
«Kurosawa, Truffat, Godard, Hitchcock, David Lean…».
E oggi?
«Uuuuuuuuh (dice preoccupato). Beh, Cristopher Nolan è un maestro. Non scherza. È un fillmmaker serio. E ho appena visto il film di Alfonso Cuarón, Roma. Grande film».


 

 

 

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