Latina: paludi, bonifiche, centrali nucleari dismesse, umidità. Massimo Sisti è il titolare di uno studio dentistico che porta il suo nome. Professionale, gentile, pacato, ha conquistato tutto ciò che poteva desiderare: una villa immersa nella quiete e una famiglia che ama e che lo accompagna nello scorrere dei giorni, dei mesi, degli anni.
La moglie Alessandra e le figlie Laura e Ilenia (la prima adolescente, la seconda non ancora) sono la sua ragione di vita, la sua felicità, la ricompensa a un’esistenza improntata all’abnegazione e alla correttezza. È in questa primavera imperturbabile e calma che irrompe l’imprevedibile: un giorno come un altro Massimo scende in cantina e l’assurdo si impossessa della sua vita.
America Latina, il nuovo film di Fabio e Damiano D’Innocenzo presentato oggi in Concorso oggi a Venezia 78, è la storia di una mascolinità raccontata con toni oscuri, perturbanti e malsani dai registi de La terra dell’abbastanza e Favolacce e interpretata da un Elio Germano che i due gemelli hanno diretto spingendolo in un territorio lontano da ogni comfort zone.
Di seguito il resoconto della conferenza stampa ufficiale di presentazione, nella quale i fratelli D’Innocenzo hanno descritto e raccontato la opera terza, prodotta da The Apartment, Vision Distribution e La Pacte, che arriverà nelle sale cinematografiche a partire dal prossimo 25 novembre distribuita da Vision Distribution.
La frase sulla locandina del film è «È amore». Cosa vuol dire per voi?
Fabio D’Innocenzo: Ogni volta che ci approcciamo all’amore parliamo di sentimenti, quali il ricongiungersi con fantasmi e ossessioni, con una grandissima suspence e con l’incertezza sull’avvenire. Quindi col thriller, con tutte le sue variabili impazzite. Il film è anche profondamente tenero e ogni sentimento per decollare ha bisogno del suo contrario accanto a sé che lo sostenga, perché la vita è fatta di contraddizioni. Poi sul set mi sono innamorato, quindi amore totalmente.
Come avete lavorato sul genere e sulla dialettica tra rispetto delle regole del genere e gusto di tradirle?
Damiano D’Innocenzo: America Latina non è un thriller ma ha degli aspetti del thriller, è un film misterioso e volutamente ambiguo. Se vogliamo usare la parola thriller possiamo usare la definizione thriller psicologico. Amiamo i generi perché il genere ha delle regole precise ed è bello conoscerle tutte, approfittarsi di una regola che può far decollare in maniera rapida una storia ma anche aggirarne tante altre. America Latina contiene la voglia di non ripetere quanto abbiamo già fatto, io e mi fratello vogliamo rimanere scomodi. Innanzitutto a noi stessi.
Avete concepito e scritto America Latina come un controcampo del film precedente, Favolacce, visto che ne sembra la versione malsana e catatonica?
Fabio D’Innocenzo: L’abbiamo scritto a Berlino durante la presentazione di Favolacce, anche per scordarci della competizione e se avevamo vinto un premio oppure no, per non pensare a come sarebbe stato recepito. Abbiamo iniziato a pensare al successivo andando, per anticorpi, verso un film meno bozzettistico, vignettistico, episodico e frammentario, con un personaggio che vive la storia e ce la fa vivere in modo molto dritto. Noi siamo lui, siamo il suo sguardo, viviamo questo racconto in prima persona. Non è un viaggio al termine della notte ma al termine di un uomo, come ha detto oggi mio fratello Damiano, è una frase bellissima che gli rubo. Non è stata però un fatto scientifico, non ci siamo detti di fare il contrappunto di Favolacce, anche perché noi lavoriamo bene in una condizione di incertezza. Per cui ci siamo detti: ripartiamo da zero, facciamo un nuovo esordio.
I personaggi femminili sono particolarissimi, un po’ alla Sofia Coppola ma virati in acido e un po’ le protagonista di Picnic at Hanging Rock di Peter Weir.
Fabio D’Innocenzo: Il femminile ci salva, era il tema che volevamo esplorare. Quanto l’amore riesce a rimettere i vetri rotti e i pezzi a posto, anche quello non corrisposto, platonico, fraterno. Ogni tipo d’amore riesce a far decollare la vita verso il modo in cui dovrebbe essere sempre. Per noi era importante dal punto di vista figurativo il femminile, questi riferimenti sono giusti e abbiamo usato anche tantissimi dipinti come reference per i costumi, la luce e le attrici meravigliose che erano nel film.
Come avete scelto la casa del film, che è un luogo molto importante come già quella di Favolacce?
Damiano D’Innocenzo: Il confine tra retorico e simbolico è un attimo, è uno starnuto, specie in un film come questo, fatto tra il sopra e il sotto, da due gemelli. La villa del film sembrava quasi un dente storto, e la piscina dava l’idea di poterti tagliare. Il location manager ci mise quella villa tra gli scarti e ci convincemmo che era quella giusta proprio perché era impresentabile, rispecchiava perfettamente la fragilità e il dubbio del protagonista. Purtroppo per i proprietari quella casa esiste davvero!
Nei vostri film sembra esserci l’acqua come filo conduttore simbolico, ripensando soprattutto a Favolacce.
Molto sinteticamente noi siamo cancro, l’acqua ci appartiene. Non abbiamo fatto l’associazione con Favolacce perché il personaggio che interpretava Elio in quel film era un terribile maschio alfa, qui il contrario. Latina poi è una città bonificata e sotto c’è l’acqua, tutti questi elementi si rispecchiavano l’uno nell’altro a partire dall’inconscio, che forse ci offre la voragine più profonda.
Elio Germano ha parlato così del suo personaggio: «Non è stato un lavoro di costruzione ma di decontrazione. Un lavoro in apertura, aprendoci di volta in volta a ciò che succedeva e al far accadere le cose il più possibile, perdersi per permettere alla macchina da presa di indagare. All’inizio è stato un lavoro sul personaggio, perché volevamo crearne uno che fosse l’antitesi del macho vincente. Evidentemente il film parla anche dell’immaginario che vogliamo riempire nell’altro, dei ruoli che dobbiamo interpretare nella vita e nella società. Il macho vincente e senza sentimenti è funzionale a questo tipo di società, mentre questo personaggio è stato costruito per volontà dei registi con caratteristiche di femminilità, apertura, delicatezza e sensibilità, qualità che gli permettono un’indagine interiore che invece avrebbe potuto sfogare nella fisicità e nelle armi».
Queste invece le parole dell’attrice Astrid Casali: «Per me è stata un’esperienza emozionante, i registi mi hanno dato l’opportunità di contattare la mia parte più ferita, fragile e buia, che serviva al personaggio di Alessandra perché è una moglie che conosce bene suo marito, è un amore molto concreto. Questa grazia l’ho immessa nella gioia che avevo per la possibilità di fare questo film. Fabio e Damiano sono registi che ti mettono nella condizione di avere fiducia, lavorano tantissima sulla connessione umana, non dirigono in modo esterno gli attori».
Foto di copertina: Franco Origlia/Getty Images
© RIPRODUZIONE RISERVATA