Tratto dall’omonimo romanzo-monstre di Edoardo Albinati, composto da ben 1294 pagine, il film La scuola cattolica riporta il regista Stefano Mordini a Venezia, nuovamente fuori concorso, un anno dopo Lasciami andare, film di chiusura lo scorso anno.
Le domande alla base del libro erano: che cosa sono stati gli anni Settanta in una certa città, un certo quartiere, una certa scuola? Albinati nel 1975 era un adolescente romano di buona famiglia e frequentava un liceo privato del quartiere Trieste, isola di privilegio in cui i genitori medio e altoborghesi “mettevano al riparo” i loro figli dal clima politico del tempo.
Quell’anno alcuni ex studenti della stessa scuola avrebbero compiuto uno dei delitti più efferati della storia italiana, il massacro del Circeo, e Albinati, nel suo romanzo fiume vincitore del Premio Strega 2016, avrebbe raccontato proprio quella mala education capace di generare mostri.
«Il fascismo è un presupposto di partenza, ma non volevamo etichette politiche, non a caso abbiamo fatto muovere gli assassini più come fossero dei drogati – dice Mordini presentando alla stampa il film, nelle sale cinematografiche italiane dal prossimo 7 ottobre, distribuito da Warner Bros. Pictures – Era importante prendere il racconto e trasportarlo anche al presente, in anni dove questo tipo di categorie non esistono più. Il delitto del Circeo stimolò anche una discussione tra intellettuali, come quella tra Pasolini e Calvino nella quale si disse che la violenza non è solo nella classe borghese, e che l’impunità riguardava la borgata come la società borghese. Non è solo una questione di lotta di classe, ma è un conflitto uomo-donna in cui l’uomo si permette di esercitare una violenza gratuita sul femminile».
«Gli assassini, dopotutto, avevano già perpetrato violenza sulle donne e ragazze che non erano originarie delle borgate – aggiunge il regista – In quel momento queste ragazze avevano un’aspirazione, volevano fare qualcosa e l’aria di Roma se non un obiettivo era comunque un passaggio da attraversare. Punire quest’aspirazione per me è più importante che parlare di lotta di classe, concetto che oggi è cambiato radicalmente. Albinati dice: “Il mostro colpisce ancora, questa storia non è ancora finita” e noi siamo partiti da lì. Il cinema serve a volte per evadere, a volte per riflettere, ma certe volte, ed è questo il caso, anche per fare attenzione».
«Ho potuto solo immaginare cosa possa essere la violenza dell’individuo perpetrata contro le parti fondamentali dell’essere umano, ovvero la mente e il corpo – dice Benedetta Porcaroli, interprete del personaggio che rimanda a Donatella Colasanti, che si salvò dall’efferato massacro di Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira fingendo di essere morta anche lei come Rosaria Lopez, vittima del delitto – Il mio personaggio, Donatella, disse che gli uomini non erano tutti uguali nonostante quello che le era accaduto, che aveva fiducia nel genere umano. Io nel mio piccolo vorrei fare altrettanto».
In ruoli di madri rigorosamente borghesi troviamo poi ne La scuola cattolica anche Jasmine Trinca e Valeria Golino. «La madre è santa per la famiglia borghese, a differenza della poveraccia malcapitata – commenta la prima – Questi ragazzi si ritrovano, in una scuola tutta al maschile, la madre e la Vergine Maria, che non è passata attraverso il corpo per procreare, come uniche donne. Col Circeo riguardo allo stupro si passò anche dal reato contro la morale al reato contro la persona e fu una svolta epocale, e il femminismo da quel processo, essendo un periodo nuovo, ha tratto anche molti stimoli. A mio avviso non c’entra granché la follia con questa storia, è una questione culturale, succede anche nelle case borghesi. Se una donna dice no è no, altrimenti è violenza».
«Rimpiango le femministe di allora rispetto alle femministe di adesso, si sta creando un bel dialogo oggi tra uomini e donne ma a costo di molte cose – aggiunge invece Valeria Golino – Tanti aspetti in passato erano più spregiudicati, veri e liberi, oggi sono travestiti da politicamente corretto, anche se è una parola che non riesco più a pronunciare, mentre le femministe di allora erano forti. Nella femminista di oggi c’è dentro anche la vittima e non riesco ad abituarmi all’idea che essere vittima è una medaglia d’onore. La società da una parte sta migliorando e ci dà una possibilità, ma dall’altro sta diventando molto più bigotta».
Per lo sceneggiatore Luca Infascelli: «Il romanzo di Albinati è molto bello, pieno di riflessioni, ma nonostante l’enorme lunghezza non ha così tanta trama, in certi momenti sfiora il saggio. Va più per argomenti e non segue un ordine cronologico, per cui le migliaia di pagine del libro ci hanno dato soprattutto degli spunti per raccontare delle storie. 1400 pagine non ci hanno fornito 1400 trame, naturalmente».
«Si tratta di un romanzo articolato, uno zibaldone di pensieri dove su 1400 pagine ce ne sono sì e no 100 di trama e il delitto del Circeo serve per interrogarsi su che tipo di cultura può produrre l’educazione cattolica e su come si manifesta la violenza dentro un ambiente borghese, in questo caso il quartiere Trieste di Roma – aggiunge infine l’altro co-sceneggiatore, Massimo Gaudioso – Il nostro lavoro è stato da una parte semplice, perché c’era già una struttura e non tanti personaggi ai quali rispondere, oltre che un focus molto preciso sul Circeo. Per cui si è trattato soltanto di sviluppare le linee narrative dei personaggi, senza intaccare il senso del romanzo».
Foto di copertina: Getty (John Phillips/Getty Images)
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