Venezia 79, Il signore delle formiche: Gianni Amelio racconta la dignità fiera e civile dell'amore. La recensione
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Venezia 79, Il signore delle formiche: Gianni Amelio racconta la dignità fiera e civile dell’amore. La recensione

Il regista torna in Concorso a Venezia con un film sentito e appassionato, oltre che profondamente autobiografico, che affronta la parabola del drammaturgo e poeta Aldo Braibanti (Luigi Lo Cascio), condannato a nove anni di reclusione con l’accusa di plagio, cioè di aver sottomesso alla sua volontà, in senso fisico e psicologico, un suo studente e amico da poco maggiorenne, Ettore (Leonardo Maltese)

Venezia 79, Il signore delle formiche: Gianni Amelio racconta la dignità fiera e civile dell’amore. La recensione

Il regista torna in Concorso a Venezia con un film sentito e appassionato, oltre che profondamente autobiografico, che affronta la parabola del drammaturgo e poeta Aldo Braibanti (Luigi Lo Cascio), condannato a nove anni di reclusione con l’accusa di plagio, cioè di aver sottomesso alla sua volontà, in senso fisico e psicologico, un suo studente e amico da poco maggiorenne, Ettore (Leonardo Maltese)

Il signore delle formiche Amelio
PANORAMICA
Regia (4)
Sceneggiatura (3.5)
Interpretazioni (4)
Fotografia (3.5)
Montaggio (3.5)
Colona sonora (3)

Alla fine degli anni 60 si celebrò a Roma un processo che fece scalpore. Il drammaturgo e poeta Aldo Braibanti (Luigi Lo Cascio) fu condannato a nove anni di reclusione con l’accusa di plagio, cioè di aver sottomesso alla sua volontà, in senso fisico e psicologico, un suo studente e amico da poco maggiorenne, Ettore (Leonardo Maltese). Il ragazzo, per volere della famiglia, venne rinchiuso in un ospedale psichiatrico e sottoposto a una serie di devastanti elettroshock, perché “guarisse” da quell’influsso “diabolico”

Alcuni anni dopo, il reato di plagio venne cancellato dal codice penale. Ma in realtà era servito per mettere sotto accusa i diversi di ogni genere, i fuorilegge della norma. Prendendo spunto da fatti realmente accaduti, il film racconta una storia a più voci, dove, accanto all’imputato, prendono corpo i famigliari e gli amici, gli accusatori e i sostenitori, e un’opinione pubblica per lo più distratta o indifferente. Solo un giornalista de L’Unità (Elio Germano) s’impegna a ricostruire la verità, affrontando sospetti e censure.

A due anni di distanza da Hammamet, il regista Gianni Amelio è tornato a confrontarsi da vicino con la Storia d’Italia, narrando la vicenda di un caso di cronaca estremamente dibattuto nell’Italia del tempo, significativo di una certa arretratezza culturale e morale del sistema giudiziario ma anche di tante miopie discriminatorie che possono trovare posto e attecchire in famiglia e nella società.

Quella de Il signore delle formiche è una ricostruzione che non risparmia nessuna istituzione, in primis tribunali e giornali ma non solo, attualizzando una parabola che può essere ricondotta con facilità anche al nostro presente. Lo stile di Amelio è estremamente rarefatto e sorvegliato, con una sobrietà e un’asciuttezza che trovano nella semplicità assoluta tanto l’eleganza quanto la potenza formale, facendo parlare soprattutto gli atti dei processi e i loro mostruosi e forzati irrealismi. Un racconto portato avanti con una fermezza che è sempre funzionale a far esplodere, per contrasto, il sentimento e la dignità morale di una storia d’amore e una passione sbocciate tra un uomo e un ragazzo, giocoforza il cuore del film. 

Amelio, oltre a definire autobiografica questa love story, ha rifiutato in prima persona l’etichetta di “film sul caso Braibanti” ed è indubbio che Il signore delle formiche non si limita a immortalare la figura del protagonista del titolo nella sua fascinosa spigolosità da uomo dedito alle arti e all’osservazione chirurgica del mono animale delle formiche. Il suo legame con l’Ettore interpretato dal giovanissimo Leonardo Maltese – una rivelazione assoluta, che tocca l’apice nella sequenza della testimonianza al processo: un primo piano da brividi di diversi minuti – è straordinariamente evocato, con un romanticismo di rara delicatezza e una circolarità che apre e chiude il film nel segno della poeticità più lampante e spassionata. Ogni ingessatura si scioglie così negli occhi degli attori, nel loro donarsi allo sguardo carnale ma pudico del regista, che riesce a toccare con mano la forza e la grazia dei suoi film migliori. 

Non c’è traccia particolare di rabbia o rancore, nel film di Amelio (prodotto anche da Marco Bellocchio con la sua Kavac Film), e nemmeno l’indignazione sprezzante verso una grande ingiustizia del passato. Domina un andamento narrativo limpido e fiero, addirittura pacificato, sorretto da un pathos che vede in Braibanti una sorta di secondo Pasolini, dagli incontri coi ragazzi al legame con la madre (il nome delle due donne era lo stesso: Susanna), oltre all’arrivo a Roma da una provincia settentrionale. Né la scrittura né l’ottima recitazione di Lo Cascio ci risparmiano poi il fervore poco accomodante di Braibanti e la sua intransigenza, restituendone però anche le passioni brucianti (da Nietzsche, alquanto rinnegato a quel tempo dalla sinistra, alla ricerca di un teatro fatto di sillabe distrutte, frammentazioni, distorsioni, schegge), l’animo partigiano, l’umanità schietta e coltissima, il valore suo malgrado paradigmatico che fanno de Il signore delle formiche un appagante, rigoroso melodramma civile

Foto: Kavac Film, IBC MOvie, Tenderstories, Rai Cinema

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