Venezia 79, Shia LaBeouf è un Padre Pio violento e tormentato. La recensione del film di Abel Ferrara
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Venezia 79, Shia LaBeouf è un Padre Pio violento e tormentato. La recensione del film di Abel Ferrara

Abel Ferrara torna a Venezia con un film sul frate di Pietrelcina: non il santo, ma l'uomo, preda di dubbi laceranti sulla fede, con sullo sfondo la cornice storica, sociale e politica dell’eccidio di San Giovanni Rotondo del 1920

Venezia 79, Shia LaBeouf è un Padre Pio violento e tormentato. La recensione del film di Abel Ferrara

Abel Ferrara torna a Venezia con un film sul frate di Pietrelcina: non il santo, ma l'uomo, preda di dubbi laceranti sulla fede, con sullo sfondo la cornice storica, sociale e politica dell’eccidio di San Giovanni Rotondo del 1920

Padre Pio
PANORAMICA
Regia (3.5)
Sceneggiatura (2)
Interpretazioni (3)
Fotografia (2)
Montaggio (2.5)
Colonna sonora (2)

Il Padre Pio di Abel Ferrara ci riporta negli anni ’20, a quell’Italia di famiglie disperate, della povertà assoluta, delle malattie e dei disordini politici, di uomini affaticati dalla Prima Guerra Mondiale che  avevano combattuto senza sapere bene in nome di cosa. 

I giovani soldati tornavano nei villaggi, in quelle terre violente sulle quali la Chiesa e i ricchi proprietari terrieri esercitavano un dominio incontrastato. San Giovanni Rotondo – che oggi tutti riconoscono come il santuario di San Pio – era uno di questi villaggi. Ferrara racconta l’arrivo del frate in uno sperduto convento di cappuccini, per iniziare il suo ministero evocando un’aura carismatica, la santità e le visioni epiche di Gesù, Maria e del Diavolo.

Presentato in prima mondiale alle Giornate degli Autori della Mostra del cinema di Venezia 2022, il nuovo film del regista newyorkese, da tempo residente a Roma, racconta la storia del frate di Pietrelcina facendola dialogare da vicinissimo con l’eccidio di San Giovanni Rotondo del 1920. Come era facile aspettarsi non è un film su Padre Pio in senso propriamente detto, né sui miracoli e tantomeno sull’icona popolare, ma un ritratto allucinato e disperato ritagliato intorno a un’icona inquieta e tormentata. Ferrara ha affidato il ruolo, con una scelta di casting bruciante per tempismo e attualità, a Shia LaBeouf, anch’egli reduce da un periodo personale a dir poco travagliato e che nel film ha trovato, stando alle cronache, una panacea per i suoi demoni con tanto di conversione al cattolicesimo. La sua versione del personaggio è scavata, urlante, rabbiosa, animata da un fervore crudo e spietato, in costante dialogo tra sublimazione affannata del peccato e sporco realismo, sacro e profano, divino e laido. 

Come il regista de Il cattivo tenente ci ha ormai abituato da molti anni a questa parte, Padre Pio è un film sommessamente e orgogliosamente slabbrato e liberissimo da ogni vincolo e urgenza, una meditazione personalissima che torna a scomodare temi carissimi a Ferrara come dannazione, redenzione, senso di addiction del singolo rispetto ai propri fantasmi e vuoti da colmare. Il suo Padre Pio non cerca la verosimiglianza del ritratto biografico, né la filologia della ricostruzione, ma soltanto il furore della vocazione e della fede da agguantare faticosamente, tra mille demoni e spettri. Lo spirito iconoclasta, grattando la superficie dei i limiti imposti dal budget e da tutte le circostanze del caso, è chiaramente per Ferrara quello di sempre, ma in Padre Pio più che sul singolo uomo si sofferma soprattutto sulla fede ideologica – e la via crucis politica a essa direttamente connessa – come mistica del collettivo, con un approccio “basso” e sempre più furibondo all’immediatezza del girare. 

Come già il precedente, allucinato e catatonico Zeros and Ones, Padre Pio sembra un film più di poesia che di prosa, ancorato alle proprie sgrammaticature e a un’estetica maledetta e fuori dai bordi, che se infischia anche della storpiatura della lingua inglese recitata da attori italiani, ricorrendo perfino a una sequenza in cui Asia Argento interpretando un uomo alle prese col senso di colpa per le molestie verso la propria figlia e a un finale prossimo all’horror vacui e al body horror metafisico, al contempo viscido e umanissimo. Considerabile ormai a pieno titolo un regista europeo, Ferrara prosegue dunque nella propria vocazione (afflato più che mai calzante, dato il contesto) con cieca ostinazione, firmando un altro capitolo – e uno dei più liberi – della sua filmografia densissima e instancabile, sorretta da un indomito sperimentalismo resistente a ogni moda e bon ton. 

Foto: Maze Pictures, Interlinea Film, Rimsky Productions

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