E quindi com’è il Festival di Venezia ai tempi del Covid? Com’è questa mostra piena di mascherine, di controlli della temperatura, di timori espressi a mezza bocca (cosa succederà se salta fuori un positivo tra gli accreditati?)…?
Noi, che siamo arrivati un paio di giorni fa, quando ancora si era in pieno allestimento ed era possibile girare più o meno ovunque senza incrociare nemmeno un termoscanner, proviamo a fare un primo bilancio a poche ore dall’inaugurazione in Sala Grande con il film Lacci, una serata che sarà trasmessa in streaming nei cinema di tutta Italia.
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Il Festival al tempo del Covid
Termoscanner e mascherine ma… meno controlli
In cosa consistono, in definitiva, queste misure? Vediamo un po’. Innanzitutto gli accessi alla zona centrale del Festival, quella che va dalla Sala Grande alla Sala Giardino, passando per il Casinò, sono allestiti con termoscanner fissi. Fino allo scorso anno erano deputati all’antiterrorismo, ovvero a setacciare le borse degli accreditati, ma tutta quella parte quest’anno viene saltata (almeno per ora). Una volta entrati in quest’area, è obbligatorio tenere le mascherine su naso e bocca. Non soltanto in sala quindi, ma ovunque, fatta eccezione per quando ci si siede a un bar per consumare.
Sala stampa, conferenze e proiezioni
Può sembrare un argomento un po’ ozioso, ma anche il modo in cui è cambiata la vita degli accreditati – cioè della stampa e del settore Industry (esercenti, produttori, distributori, eccetera) – è un segno dei tempi.
Innanzitutto le proiezioni: da quest’anno per accedere ai film bisogna prenotare il posto online. Il sistema è andato in tilt già il primo giorno, e ha avuto un paio di ulteriori malfunzionamenti: tutt’ora è operativo con notevoli rallentamenti. Ci sono però anche lati positivi: ad esempio sono scomparsi i furbetti dell’ultimo minuto, quelli che arrivano tardi e saltano la fila (reale, non virtuale). Le giornate si possono organizzare in anticipo e non si rischia di rimanere inaspettatamente fuori da una proiezione. Gli ingressi in sala procedono inoltre piuttosto spediti.
Allo stesso modo vanno prenotati i posti per le conferenze stampa.
In sala stampa, invece, per ovvie ragioni, sono spariti i laptop della Biennale: si accede solo con le proprie risorse tecnologiche ed entro certi limiti di posti disponibili.
Meno stampa, poca gente e… il muro
In realtà tutte queste limitazioni numeriche finora non vengono percepite granché, anzi, tutto l’opposto: il Festival sembra essere diventato più vivibile. Accreditati più o meno dimezzati, pochissimi curiosi – dissuasi probabilmente più dall’assenza di grandi nomi americani, che dal muro bianco alto un paio di metri che nasconde il red carpet –, dopo decenni la Mostra sembra essere tornata un luogo vivibile, in cui non occorre sgomitare per un caffè o un panino, in cui ci si muove con un certo agio in spazi non costipati, in cui i film vengono visti in sale semi-vuote – per forza: ad ogni posto occupato deve corrisponderne uno libero – e se ti perdi una proiezione fai sempre a tempo a recuperarla, perché meno film in cartellone significa anche moltissime repliche in più – almeno una decina per i titoli del concorso.
Insomma, aspettando di capire se la pandemia a lungo andare presenterà il conto, bloccando centinaia di accreditati nei loro appartenenti alla ricerca del “Giornalista Zero”, non sembra un’assurdità dire che questa edizione sui generis della Mostra presenta anche molti aspetti positivi: meno invadenza nei controlli, meno file, meno ressa, meno maleducazione e un numero più ragionevole di film.
Stasera intanto il Festival apre con Lacci, il film di Daniele Luchetti tratto dal romanzo di Domenico Starnone. Il film si iscrive perfettamente nella tradizione del nostro cinema domestico e borghese, e pur non potendo garantire l’eccitazione inaugurale di un La La Land o di un Birdman, indica subito la traiettoria di una edizione che sarà in gran parte dedicata al divismo domestico (stasera sul red carpet ci saranno Alba Rohrwacher, Luigi Lo Cascio, Linda Caridi, Adriano Giannini), alla valorizzazione della nostra cinematografia e al cinema d’essai.
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