In un paese non meglio identificato del Nordest italiano una famiglia altoborghese fa il bello e il cattivo tempo. L’erede della fortuna famigliare, Diletta (Michela Cescon), è una donna fragile che cerca di dare un senso alla sua vita impegnandosi in cause che vedono protagonista don Carlo (Vinicio Marchioni), il prete con un debole per le parrocchiane. Suo marito Giorgio (Marco Giallini), romano, le è infedele e approfitta delle ricchezze della moglie a scapito dell’azienda di famiglia. La figlia Beatrice (Monica Billiani) è un’adolescente arrabbiata, e la nonna (Erika Blanc) è severa e taccagna. Intorno a loro si aggirano un poliziotto napoletano corrotto (Massimiliano Gallo), un medico venduto (Bebo Storti) e una famiglia di immigrati rumeni: Sonja (Cristina Flutur), cameriera della famiglia altoborghese, e il figlio Adrian (Ioan Tiberiu Dobrica).
Villetta con ospiti, il nuovo film di Ivano De Matteo, sembra ispirarsi al lascito di un film italiano indispensabile e molto dimenticato come Signore e signori di Pietro Germi, che aveva già fatto della borghesia del Nordest italiano un bersaglio da colpire attraverso un campionario di umanità grottesca e meschina. Un modello rispetto al quale il regista, affiancato come d’abitudine in sceneggiatura dalla compagna Valentina Ferlan, tiene le proprie ambizioni considerevolmente più basse, scegliendo di sottolineare soprattutto uno squarcio di solitudine e benessere sociale che cela magagne ben più grandi.
Villetta con ospiti è infatti un film che non ha strepiti né voli pindarici, cui manca forse uno scarto di forma e di senso per riuscire ad abbracciare l’universale a partire dal particolare. Anche il punto di partenza dichiarato (i sette peccati capitali) appare piuttosto labile, ma il racconto ha in compenso una sua secchezza e una misura, entrambe asciutte e disperate. Siamo nei territori del noir in interni, un po’ come nel suo precedente I nostri ragazzi, con uno sottofondo di abbrutimento morale e colpe condivise con le quali ben pochi personaggi sembrano essere scesi a patti, a cominciare dallo stentoreo pater familias di Marco Giallini.
La psicologia più tremante e inquieta è però quella della madre di Michela Cescon, attrice che fin da Primo amore di Matteo Garrone ha dimostrato di sapersi mettere a nudo senza paraurti: la sua Diletta è una donna che tenta di sopperire alla depressione con un buonismo caritatevole di facciata e che a forza di nascondere la polvere sotto il tappeto si ritrova a farsi carico di uno fatto tanto tragico quanto casuale che rimescolerà gli equilibri e i destini di tutti. Il suo gesto permette a Villetta con ospiti di intercettare il tema di un’italianità arroccata sui propri privilegi che non riesce a fare i conti con l’alterità della presenza straniera nel nostro paese e spera, attraverso il solo denaro, di poter comprare tutto e tutti.
Un messaggio indubbiamente didascalico, talvolta perfino scolpito nella pietra a tal punto da risultare preordinato e meccanico, ma mandato in porto dal film di Di Matteo con uno sguardo non di rado attento non solo agli ambienti, asfissianti e cupissimi nella loro assenza di redenzione, ma anche a certe ombrose contraddizioni (e contrattazioni) dell’animo umano, che quando fanno capolino sullo schermo permettono alla storia di agguantare delle sfumature in più, riscattando attraverso la doppiezza il manicheismo in agguato. I personaggi migliori, in tal senso, sono quelli del poliziotto meridionale interpretato da un eccellente Massimiliano Gallo, alle prese con un’ottima prova di scarnificata e ruvida sottrazione, e la madre rumena di Cristina Flutur, indimenticabile nel suo esordio cinematografico Oltre le colline del connazionale Cristian Mungiu.
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