Dopo Il divo e Bella addormentata, Toni Servillo è di nuovo protagonista di un film in cui veste i panni del politico. In Viva la libertà, il film che riporta alla regia cinematografica Roberto Andò a 7 anni di distanza da Viaggio segreto, l’attore napoletano è addirittura il leader del principale partito d’opposizione d’Italia. Nessun nome compare, ma è chiaro che si parla di forza politica di sinistra. Servillo è Enrico Oliveri, segretario e candidato premier alle prese con le imminenti elezioni. I sondaggi sembrano non andare troppo bene e dopo una contestazione Oliveri, già un soggetto incline alla depressione, entra in crisi. Incapace di affrontare la situazione, in piena notte organizza una fuga da Roma e dalle responsabilità per rifugiarsi a Parigi, a casa di un’amica (Valeria Bruni Tedeschi). Intanto il suo assistente (Valerio Mastandrea), resosi conto della fuga, decide di rimpiazzare il leader con suo fratello gemello, un brillante filosofo che in passato ha sofferto di problemi mentali. È l’inizio di una nuova era per la politica della nazione. E proprio il desiderio di far spirare un vento di cambiamento che ha spinto Andò prima a scrivere il romanzo da cui il film è tratto, Il trono vuoto (vincitore del Premio Campiello Opera prima 2012), e poi a girare quest’opera. Ma il cambiamento come molla è stato anche alla base del lavoro degli degli attori, specie del protagonista, o per meglio dire della coppia di protagonisti, i due Servillo, l’Enrico Oliveri, leader serioso, e il fratello Giovanni Ernani, geniale, solare, carismatico ma soprattutto libero, libero da responsabilità di un ruolo che non sente suo, quello dell’uomo di potere che sta solo sostituendo, e dunque libero di dire la verità, tutta la verità sulla politica e sull’elettorato. È insomma un film ispiratore questo Viva la libertà che 01 Distribution farà uscire in 100 sale il 14 febbraio, non propriamente adatto per una serata romantica, ma sicuramente attualissimo in tempi di campagna elettorale. Di ispirazione e voglia di cambiamento, Best Movie ha parlato proprio con il protagonista, Servillo, in occasione della presentazione del film a Roma.
Non temete che il film possa essere strumentalizzato uscendo a ridosso delle elezioni?
«No. Spero anzi che possa servire a qualcosa: l’arte entro i suoi limiti deve suggerire, far capire che si deve mettere l’emozione al servizio del pensiero o che si può far pensare emozionando. Ci sono tante parole legate alla politica nel film e rivedendolo ho pensato che possa andare in soccorso anche degli stessi politici con questo consiglio: se si pensa di essere superiori bisogna avere anche la forza di dimostrarlo».
Il tema principale è quello del doppio, del gemello. Un esordio per te in questo senso.
«Più ancora, un’occasione ghiotta. È naturale per chi fa teatro come me da molti anni imbattersi in testi con due protagonisti gemelli, ma non li avevo mai recitati prima. Il film poi applica alla politica questo meccanismo drammaturgico del doppio moltiplicando le sorprese. È come se volessimo raccontare la necessità che la politica ritorni a fare riferimento alla cultura, come fa proprio Ernani, e che dà slancio morale, solo così l’orizzonte non è più per la politica astratta. Ernani è concreto, Oliveri no. Per questo motivo con Roberto (Andò, ndr) abbiamo lavorato prima su Ernani, girando inizialmente tutte le scene con lui e solo dopo quelle con Oliveri: in questo modo ho potuto lavorare di sottrazione. E sono giunto alla conclusione che più che un fratello gemello, Ernani sia la parte nascosta dentro Oliveri che non riesce ad uscire, a prendere il sopravvento».
È il tuo esordio come gemello, ma non come politico. Hai ripescato qualcosa dai personaggi de Il divo e Bella addormentata?
«Mettiamola così, mi auguro di fare al più presto tutt’altra cosa, tipo un conte settecentesco innamorato. Non mi metto a sostenere ideologie, e non sono ammesse ruffianerie: gli altri politici che ho fatto non hanno molto in comune se non l’ambiente in cui si muovono».
Quindi non c’è il minimo richiamo neanche ai protagonisti della sinistra attuale?
«No, nella maniera più assoluta. Ho altre fonti d’ispirazione che non sono la realtà: sono un attore che ha recitato ne Il misantropo, Il tartufo. Mi sono rifatto non ai politici ma a certi intellettuali eccentrici, gli unici in grado di restituire quell’aria allegra che circola in questo film e punta a restituire, con rispetto, ad argomenti come l’agone politico, una certa leggerezza. È come buttare un sasso in un’acqua che ci sembra stagnante sperando che si smuova qualcosa. L’importante è sganciarsi dall’idea che la politica sia senza speranza o che Viva la libertà sia una commediola perché c’è della leggerezza: attenzione, questo film è tutt’altro che una burletta».
È vero, al punto che fa pensare gli spettatori fin dall’inizio: Oliveri si sente inadeguato al suo ruolo e se ne va. Un po’ come il papa di Moretti in Habemus Papam. Secondo lei sta iniziando una nuova stagione in cui i politici che non se la sentono abbandonano la poltrona?
«Non posso rispondere a questa domanda, non spetta a me dirlo. Noi attori facciamo dei trucchi e trucchiamo la realtà gli altri, i politici non dovrebbero farlo. Sono invece soddisfatto di aver raggiunto questo obiettivo: se il film smuove domande così, a cui peraltro ci si risponde da soli, vuol dire che è riuscito».
Tu e Andò avete anche un altro merito in questo film, fate apparire o citate importanti menti del passato, da Berlinguer a Fellini passando per Bertold Brecht.
«La cosa più singolare è che mostra Fellini in vesti poco conosciute cioè quando s’infuriò per il dibattito sulle interruzioni pubblicitarie, quando la tv privata stava cambiando le regole. È necessario rimettere al centro alcuni nomi. Molti ragazzi, che spero affolleranno le sale per questo film, non riconosceranno subito la citazione della poesia di Brecht durante la scena del comizio, ma se avranno voglia di approfondire scopriranno lo stratagemma e magari si ritroveranno a pensare ad un autore che ignoravano. Questo è l’obiettivo primario: rimettere al centro del paese gli autori e ripartire dalla cultura perché l’unica speranza possibile, come dice Ernani nel film, è nella coscienza delle gente».