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We live in time – Tutto il tempo che abbiamo, John Crowley racconta la sua “romcom fuori dalle regole” alla Festa del Cinema di Roma

Il regista inglese presenta l'attesissima commedia romantica con Andrew Garfield e Florence Pugh, al cinema dal prossimo 28 novembre

We live in time – Tutto il tempo che abbiamo, John Crowley racconta la sua “romcom fuori dalle regole” alla Festa del Cinema di Roma

Il regista inglese presenta l'attesissima commedia romantica con Andrew Garfield e Florence Pugh, al cinema dal prossimo 28 novembre

Tra le anteprime più attese della Festa del Cinema di Roma arriva anche We live in time – Tutto il tempo che abbiamo, la commedia romantica con Andrew Garfield e Florence Pugh, al cinema dal prossimo 28 novembre con Lucky Red (qui il trailer ufficiale). La storia di Almut (Florence Pugh), una chef in ascesa, e Tobias (Andrew Garfield), reduce da un divorzio, viene raccontata dal regista John Crowley non secondo la mera e semplice progressione lineare, ma attraverso una serie di momenti che ricostruiscono tra passato e presente le tre diverse fasi della loro relazione (innamorarsi perdutamente, costruire una casa, allargare la famiglia), finché una tragica verità non si mette sulla loro strada.

E proprio il cineasta irlandese ha presentato questa romcom totalmente sui generis a Roma Film Festival: «La sceneggiatura aveva una struttura divisa in tre parti, ma il girato notoriamente non coincide quasi mai con il risultato finale. Ci siamo trovati al montaggio con due splendide interpretazioni, alcune scene meravigliose, che montate in maniera consequenziale funzionavano meno. Per questo abbiamo voluto rimodulare l’intera struttura del film. Ci è voluto molto tempo per conservare il ritmo, i contrasti emotivi, passando dal racconto di una sola giornata a quello di cinque mesi per arrivare a cinque anni. La musica è l’elemento che ha garantito l’unicità del tono del film».

«Mi piacciono le storie dove l’amore è un effetto collaterale. Il problema delle romcom è che spesso si copiano tra loro, ma nelle cose peggiori. E il pubblico è intelligente, non lo accetta. Penso che il vero amore emerga quando i personaggi procedono in direzioni contrarie, come accade ai protagonisti. Per questo ho cercato di non prestare attenzione alle regole, raccontare questa storia in modo fresco, energico» prosegue John Crowley. E parlando di Andrew Garfield e Florence Pugh, sottolinea subito l’incredibile sintonia che ha legato la coppia di We live in time – Tutto il tempo che abbiamo: «Li ho messi insieme istintivamente. Sono due attori molto diversi, ma entrambi hanno una grande ambizione creativa e sono accomunati dalla voglia di fare il miglior lavoro possibile. Abbiamo fatto due settimane di prove perché loro si conoscessero, e anch’io potessi conoscerli. Al termine delle prove scalpitavano, erano così pieni di energia che ho faticato a trattenerli. Hanno subito capito che il film era sulla relazione, non su un personaggio diviso dall’altro. Al quarto giorno di riprese hanno girato una scena nel parcheggio sotterraneo, una scena molto difficile.  In quel momento hanno raggiunto un livello di profondità che è rimasto costante per tutto il film. Così ho capito cosa dovevo fare: dovevo semplicemente arrivare la mattina sul set e fare in modo che io e la troupe non creassimo distrazioni tra loro

Il regista ci ha rivelato anche la sequenza che per lui racchiude l’essenza di We live in time – Tutto il tempo che abbiamo: quella della nascita della loro bambina. «Quando ho letto la sceneggiatura è la scena del parto che mi ha fatto decidere di fare il film. Mentre leggevo la scena ridevo tra le lacrime. L’assurdità della situazione, le diverse emozioni che racchiude rappresentano il tono del film. Florence ha dovuto simulare il parto circa otto volte, con l’assistenza di una professionista. Anche il panico che vedete sulla faccia di Andrew è reale. Alla fine ci hanno chiesto di restare in silenzio al buio per venti minuti per elaborare tutto quello che avevano vissuto». E infine, sottolinea come abbia voluto raccontare la stessa Londra che lui ha scoperto quando si è trasferito dall’Irlanda, venticinque anni fa, e che corrisponde anche alla “normalità” dei protagoisti e della loro classe sociale: «Volevo una Londra autentica, reale. Zone anonime, di passaggio. Non la Notting Hill di oggi, dove puoi vivere solo se sei milionario!».

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Foto: Samir Hussein/WireImage

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