Workers – Pronti a tutto, intervista al regista Lorenzo Vignolo
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Workers – Pronti a tutto, intervista al regista Lorenzo Vignolo

Svelati nuovi anedotti e curiosità di questa commedia che affronta in chiave ironica il tema del precariato

Workers – Pronti a tutto, intervista al regista Lorenzo Vignolo

Svelati nuovi anedotti e curiosità di questa commedia che affronta in chiave ironica il tema del precariato

Uscirà il 6 aprile il nuovo film di Lorenzo Vignolo, Workers – Pronti a tutto, scritto da Stefano Sardo (La doppia ora) e prodotto da Margherita Film e Minerva Film, con la collaborazione di Rai Cinema. Il film è una commedia sul tema della disoccupazione che segue le vicende di tre ragazzi alle prese con lavori impossibili che nessuno vuole fare, raccontate dall’agenzia interinale alla quale si rivolgono. Ma è Lorenzo Vignolo a svelarci qualcosa di più di questa pellicola

Sotto, l’intervista al regista Lorenzo Vignolo:

Best Movie: Come nasce l’idea del film e come hai trattato il tema del precariato?
Lorenzo Vignolo:
«L’idea del film è nata dalla volontà di raccontare attraverso una commedia a episodi questo presente un po’ incerto. I protagonisti del film devono darsi da fare e per sopravvivere si ritrovano a gestire lavori estremi; questo porterà loro ad affrontare incontri e percorsi inaspettati, ma è proprio da queste situazioni paradossali che scaturisce il sorriso e la risata».

BM: Il film è diviso in episodi, ti va di spiegarci il motivo di questa scelta nella stesura della sceneggiatura?
LV: «In principio c’era addirittura l’idea di far dirigere ogni episodio da registi diversi. Una volta che mi è stato affidato il timone dell’intero film mi sono ritrovato con l’opportunità di avere storie dallo stile e dall’umorismo differente: si passa da quello “all’inglese” a quello più popolare, dalla commedia romantica a quella più noir. In ogni caso la recitazione non è mai sopra le righe, i protagonisti del film innanzitutto si ascoltano, complice una sceneggiatura particolarmente curata».

BM: Quali sono le tue fonti di ispirazione cinematografica, i tuoi maestri?
LV:
«Ho molte passioni, ma se devo citare tre registi nomino i fratelli Coen, Aki Kaurismaki e Alexander Payne. In generale amo questi autori perché spesso contaminano dramma e commedia; hai la sensazione che in qualsiasi momento del film si possa aprire una porta, che un personaggio secondario lasci il segno con uno sguardo o una battuta. Mi piace non sapere mai come andrà a finire e avere molti piani di lettura. Sono accomunati da uno sguardo un po’ provinciale, nel senso buono del termine, in cui mi riconosco.

BM: C’è un lieto fine per i personaggi del film, o una morale comune ai tre episodi?
LV:
«Posso garantire che si uscirà dal cinema col sorriso e nessun episodio finirà male, ma come dire di più? Per alcuni andrà benissimo tanto che, alla fine di uno degli episodi narrati dai due agenti interinali, l’uno esclama sorpreso all’altro: “ma mi hai raccontato una storia che finisce bene… non me l’aspettavo! Allora c’è speranza anche per me!”. In un altro momento del film si arriva ad un ben più cinico: “bisogna pur lavorare!”. Ecco, anche i “lieti fine”, sono costretti ad adattarsi di questi tempi!»

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