La polemica contro Zerocalcare ha raggiunto livelli inaccettabili, secondo il fumettista di Rebibbia. Dopo aver annunciato la sua personale decisione di rinunciare a partecipare al Lucca Comics & Games di quest’anno a causa del patrocinio gratuito dell’Ambasciata israeliana alla manifestazione, la posizione dell’autore è stata strumentalizzata dal mondo del giornalismo e della politica, spingendo lo stesso ad una dura replica sotto forma di storia a fumetti.
Pubblicata sull’Internazionale nella mattinata di venerdì 3 novembre 2023, Zerocalcare ha realizzato una cronistoria in cui racconta cosa sia successo nei giorni scorsi e quali siano state le conseguenze – una delle quali, spiacevole, il parziale spostamento del centro d’attenzione dalle vicende di cronaca nera relative alla guerra tra Israele e Hamas.
«Mi rendo conto del rischio mitomania, ma ritengo che abbia un interesse come caso di studio sui media» ha scritto, prima di raccontare di come avesse maturato la decisione di rinunciare all’evento. Dopo che è emersa la questione del patrocinio, Zerocalcare si è domandato se fosse il caso o meno di partecipare, arrivando alla sua decisione dopo aver parlato con alcuni autori e testimoni diretti della guerra in corso nella striscia di Gaza. «Bisogna parlare delle cose quando si seguono percorsi collettivi» ha scritto.
Poi, l’autore di Kobane Calling è passato a raccontare cosa fosse successo dopo il suo annuncio: nella storia a fumetti trovano spazio il tweet di Matteo Salvini, di Maurizio Gasparri, il contestato post di Maurizio Crippa e tanti altri attacchi che, sostanzialmente, accusano Zerocalcare di essere antisemita per aver rinunciato al Lucca Comics & Games per quel motivo. Contesta pezzo per pezzo anche l’articolo di Francesco Merlo su Repubblica, finito al centro del dibattito e dal quale hanno preso le distanze anche molti colleghi dello stesso giornale.
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Zerocalcare si è ritrovato così a doversi difendere da accuse infamanti, al punto da dover specificare che per lui il rastrellamento del ghetto di Roma del 1943 rappresenta una delle pagine più buie della storia della città e d’Italia. Quindi l’ultima parta, difficile da disegnare ma fondamentale:
Ci sta una semplificazione che la logica di guerra impone, per cui chiedere la fine dei bombardamenti a Gaza significherebbe essere a favore dell’uccisione di civili israeliani o complici di orrendi episodi antisemiti che si moltiplicano in giro per il il mondo.
Per me sta roba è inaccettabile, visto che da tutta la vita penso che la memoria vada ricomposta, così come lo sfregio delle pietre d’inciampo a Roma è un attacco alla nostra memoria collettiva, e le stesse di David fatte a Parigi sono una ferita inferta a tutti.
Ma l’odio per ogni forma di antisemitismo e di razzismo non dovrebbe significare chiudere gli occhi di fronte ai bombardamenti che stanno martellando Gaza, come racconta chi pretende di schiacciare e blindare il dibattito. Per me è l’esatto contrario.
Poi ha proseguito ancora dicendo:
Io non sono il più sveglio della cucciolata, lo so, ma con tutte le contraddizioni del caso cerco di riportare sempre tutto ad una visione del mondo complessiva e coerente, che si basi sull’idea della convivenza tra i popoli oltre gli stati nazione, in cui non esistono morti di serie A e morti di serie B.
Per me la coerenza non è dire: siccome sono sono contro il fondamentalismo, allora Israele ha diritto di ammazzare migliaia di palestinesi per vendetta.
Per me significa dire che proprio perché considero atroci i massacri subiti dai civili israeliani, non posso che considerare altrettanto atroce la punizione collettiva a cui sono sottoposti i civili palestinesi.
Finché non cambiamo la prospettiva da cui guardare il mondo, finché continuiamo a fare il tifo per uno stato contro l’altro, continueremo a scegliere quale massacro giustificare e quale condannare, magari sulla base di interessi commerciali o militari che spesso hanno poco a che fare con gli ideali.
Io preferisco spostare il focus sui popoli e sulla necessità di convivere da eguali, e le bandiere degli Stati, specie quelli in guerra, raramente vanno in quella direzione.
Foto: Roberto Serra – Iguana Press/Getty Images
Fonte: Internazionale
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