In risposta all’articolo (eccessivamente) entusiasta di Fabio Guaglione (che consiglio caldamente di leggere in generale, ma che è assolutamente necessario leggere per comprendere i punti salienti delle obbiezioni che propongo).
Let it Go
(segue da) Perché alcuni, come Fabio Guaglione, senza ombra di dubbio criticamente intelligenti, capaci di realizzare e dirigere con maestria cortometraggi di assoluta qualità come Afterville (per il quale, tra l’altro, anche se solo marginalmente, ho avuto l’onore di collaborare, in qualità del mio ruolo all’interno della Film Commission Torino Piemonte), che considero uno dei migliori esempi di narrazione breve sci-fi (e non solo) italiana, si dichiarano tanto entusiasti e oppongono tali e tante resistenze nel vedere le macroscopiche pecche narrative di Lost? Proprio perché Lost, oltre che una serie tv, è stata un’esperienza. Un’esperienza della nostra vita, che ci ha coinvolti, che ci ha addirittura cambiati un po’ durante il percorso. Io ero addirittura tra quelli iscritti alla Lost University (accessibile attraverso il bluray della quinta stagione). Dove si studiava, tra l’altro, la fisica dei viaggi nel tempo, la scrittura dei geroglifici, la filosofia (politica) di Hume, Locke e Rousseau e non religione… guarda un po’! Ebbene, ammettere di essere stati traditi da un compagno (di viaggio) tanto amato non è facile. Meglio crearsi un’illusione. Come dice Lucio Battisti «Non è Francesca… no, non può essere lei!». Però forse lo era!
E’ vero, il giudizio finale su Lost è inevitabilmente influenzato dalla aspettative. Ma le aspettative non sono solo un’invenzione degli spettatori. Le aspettative sono anche il frutto della costruzione narrativa assolutamente originale di Lost. Le aspettative (e le domande) sono il risultato prima di tutto dei dubbi e della crisi esistenziale dei personaggi, del loro (prima che nostro) desiderio di arrivare a sapere, finalmente, dove sono, perché sono lì, quale sia infine il loro ruolo nel disegno (divino, del destino, del caso, o di qualunque altra cosa e perché loro e non altri) generale. E qui di nuovo torniamo al medesimo punto. Quando una narrazione funziona, e Lost ha funzionato eccome, per lungo tempo, noi stessi, gli spettatori, diventiamo i protagonisti della storia. Gioiamo e soffriamo insieme con i personaggi. L’empatia con la loro vita, in alcuni casi, diventa perfetta. Ci commuoviamo e desideriamo con tutte le nostre forze comprendere, proprio perché loro desiderano più di ogni altra cosa comprendere (sfido ad affermare che questa non fosse in particolare proprio una delle esigenze principali dei personaggi di Lost, ovviamente ognuno dal proprio punto di vista). Si tratta dell’essenza stessa dell’essere umano. Quando un uomo sull’isola in alcuni punti specifici scopre che gli aghi delle bussole impazziscono, scava, perché vuole sapere. Desidera capire! E gli autori di Lost hanno scavato e noi con loro. Ecco perché in fondo, sotto così tanti strati, avremmo tutti voluto trovare davvero il vero cuore dell’isola con tutta la sua accecante luce. Non certo quei faretti itterittici sui volti consolati dei nostri eroi, in una pseudo-chiesetta multireligiosa, angelo-dotata!
Certo che io, come molti ho fatto delle ipotesi, prima del finale. Ma non desideravo affatto che fossero le mie a realizzarsi. Io desideravo esclusivamente che fossero rispettate le premesse, tutte le premesse, che il finale fosse intrigante e interessante, all’altezza della serie. Anche un finale aperto, anzi meglio! Ma un finale coerente con tutto il resto. Alla fine desideravo semplicemente avvertire un senso di compiutezza e magari di rivelazione. Mi aspettavo di vedere andare a posto tutte le tessere del mosaico. Niente di più. Il che non significa rispondere con trattatelli pseudo-scientifici e/o filosofici a tutti gli enigmi. Nient’affatto. Significa semplicemente restare coerenti con lo spirito della serie. Che insieme ai personaggi, ci ha presentato un mondo, indisgiungibile dal loro percorso di crescita. Non ci sono da una parte loro e da una parte il background, come vorrebbe farci credere Fabio Guaglione.
Mi sembra pretenzioso poi, da parte sua, concludere con un laconico «cercate di capire!».
Io invece dico, nonostante il vostro amore per Lost, nonostante la magnifica esperienza vissuta tutti insieme, non solo davanti al piccolo schermo, ma anche attaverso Internet, ingurgitando milioni di opinioni, previsioni, aspettative, attraverso forum, articoli sui blog e riviste, attraverso mille ricerche personali, non lasciatevi intimidire dalle emozioni. Ognuno con i propri mezzi (non evidentemente soltanto chi si occupa professionalmente, in modi diversi, di narrativa come Fabio e, modestamente, come me), ma voi/noi tutti, spettatori, ragionate con la vostra testa, date sfogo alle vostre sensazioni più immediate su questo finale, senza vergognarvene e senza preconcetti. Ne avete/abbiamo tutto il diritto. Sia di affermare che è perfetto, sia che forse non lo è fino in fondo. Non è vero, come vorrebbe Guaglione, che se non siete convinti della perfezione di Lost, se sentite un certo amaro in bocca, allora non avete capito niente. Certo è possibile, ma può anche essere vero il contrario. E quindi a ognuno il proprio liberìssimo punto di vista sulla questione. Non essere d’accordo non significa che uno usi il cervello e gli altri no. Significa solo, probabilmente, che usiamo il cervello in modo diverso, grazie a dio. Poi su dove stia esattamente la ragione, o più ragione, lo dirà il tempo. Vedremo innanzitutto se Lost avrà ancora qualcosa da dire (con un finale alternativo o addirittura con un film), anche se con un finale perfetto, non dovrebbero, gli autori in primis, sentire alcuna necessità di aggiungere altro dopo il punto. E vedremo fra dieci anni, quando qualcuno rivedrà la serie e solo la serie, così com’è per adesso, esclusivamente la narrazione, senza fronzoli, senza Experience, senza interattività, senza siti, forum, blog, che cosa penserà della sua coerenza narrativa.
Alla fine, ad ogni modo è vero! Lost forse non si potrà mai spiegare fino in fondo. Perché è quasi come la vita di una persona. Come mostra Orson Welles in Quarto Potere, nessun commentatore potrà mai comprenderla fino in fondo dall’esterno. E così sia per la serie tv che possiamo dire, unanimamente, di aver amato di più, tutti allo stesso modo! Anche se, dopo il finale, siamo, almeno alcuni, così divisi. (torna all’inizio)
Gli altri “capitoli” di Lost: perché NON è un capolavoro
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Alfonso Papa ha frequentato il master biennale in Tecniche della narrazione presso la scuola Holden di Torino. Tra le altre cose ha collaborato con la casa editrice Einaudi in qualità di lettore e ha lavorato su alcuni set cinematografici, tra cui Radiofreccia di Luciano Ligabue e Un amore di Gianluca Tavarelli. Dal 1999 al 2007, prima per l’Associazione Cinema Giovani e poi per il Museo Nazionale del Cinema, si è occupato dell’organizzazione del Torino Film Festival. Attualmente lavora in qualità di production manager per la Film Commission Torino Piemonte. Lo scorso marzo era tra i giurati della manifestazione cinematografica Piemonte Movie 2010.
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