True Detective (HBO, Sky Atlantic)
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True Detective (HBO, Sky Atlantic)

True Detective (HBO, Sky Atlantic)

“Se me lo chiedessi, ti direi che la luce sta vincendo”. HBO sperimenta la serializzazione autoriale all’inglese – un solo sceneggiatore e un unico regista per tutta la stagione – in quello che è per la tv americana (cable compresa) un atto di indicibile audacia, consegnando nelle mani del duo Pizzolatto/Fukunaga (con Matthew McConaughey sponsor e garante) il via libera per confezionare una serie ostica – antitesi dell’intrattenimento -, che esige un livello di concentrazione a cui il pubblico americano bisognoso di svago e letargia mentale non è avvezzo. True Detective è come il suo protagonista Rusty Cohle, ingannevolmente introiettata in un intimo in tumulto che si fomenta dopo ogni implosione dell’anima per poi, alla fine, esplodere in un fiume di parole, in uno scatto d’ira, in un atto di ribellione. La caccia al serial killer è il pretesto – palesato dall’autore – inscenato per persuadere il pubblico a interessarsi alle indagini on the road del pessimista cosmico Cohle e del partner Marty quel tanto che basta da costringerlo a seguirne la storia anche dopo essersi reso conto dell’inganno, ormai intrappolato e catturato da una serie che evoca Manhunter – Frammenti di un omicidio, ma ricorda Le paludi della morte nell’ambientazione e Hannibal nell’iconografia dei rituali. True Detective è perturbante quanto il suo protagonista, esperto nel mettere a disagio il prossimo, eppure la serie creata dal duo Pizzolatto/Fukunaga in virtù di una estenuante collaborazione risulta potentemente magnetica. I detrattori la trovano fastidiosamente intellettualoide, ma True Detective e la sua visione del mondo così cupa e disperata vanno viste sotto un’altra luce, quella che illumina il cielo stellato sopra Rust Cohle e Marty Hart.

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