La rivelazione. Quasi mistica, possiamo dire (considerato che Murphy è l’autoproclamato messia dell’era degli zombie). La produzione made in The Asylum – in Italia in onda da giugno su Axn Sci-fi – insegna ai critici che hanno occhi solo per HBO e le serie con registi, sceneggiatori e attori mutuati al cinema che il pregiudizio è ottenebrante e limitante (un’altra serie di Syfy, nonché una delle migliori della Storia della Tv, Battlestar Galactica, fu altrettanto sottovalutata). Z Nation esordisce con un pilot scanzonato, referenziale e in linea con le produzioni farsesche firmate da quelli di Sharknado per poi scodellare sequenze di temeraria follia come non se ne vedevano dalle prime stagioni di True Blood. Nel corso della prima stagione lo show mostra di non volerne sapere delle analisi di mercato, della decenza e del buon costume, di non degnare i format studiati a tavolino e le riunioni con i capi che incitano all’autocensura. Il gruppetto di sopravvissuti all’Apocalisse zombie (“Damned Z-apocalypse”), in viaggio per condurre dall’altra parte degli Usa l’unico individuo immune al virus che ha trasformato l’umanità in cadaveri cannibali, vive un’avventura on the road concitata che regala allo spettatore l’inebriante e inusuale ebbrezza del non sapere cosa aspettarsi. Z Nation è straripante di citazioni e omaggi – inclusi i meno ovvi come quelli che ci rifila orgogliosa e impettita The Walking Dead – e declina gli stilemi del (sotto)genere in modi inediti (e non) e spesso esilaranti. In tredici episodi lascia lo spettatore tramortito dallo sbigottimento facendo fuori il Rick Grimes (ma meno lagnoso e arrogante) del caso e dona al mondo della serialità il personaggio di Murphy, il signore dei non morti (e dei vivi) scorretto e volgare che probabilmente diventerà un’icona del piccolo schermo. Plauso alla serie: l’inebriante sensazione di perdersi nello stupore dell’imprevedibile è qualcosa che l’entertainment non regalavano da tempo.
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