Mario Guarrazzi era un campione, ma anche un grande incompleto: in vent’anni di gloriosa carriera non ha mai conquistato una medaglia olimpica, una carenza indelebile in un curriculum altrimenti impeccabile. Tommaso Guarrazzi, invece, campione potrebbe e dovrebbe diventarlo: il padre ha sacrificato tutto per trasformarlo nell’atleta perfetto, dal proprio tempo libero al rapporto con la moglie, e per portarlo alle Olimpiadi di Londra a vincere quell’oro che a lui mancherà sempre. Ma Tommaso vuole altro dalla vita: diventare frate, perché Dio l’ha chiamato e lui non può esimersi dal rispondere. Monsignor Angelo, infine, campione non lo è mai stato, se non di intuizioni bislacche: dall’Ave Maria rap da usare come sfondo del cellulare ai blog vaticani, che portano la parola di Dio su Internet. Eppure, per cento idee senza capo né coda ce n’è una, una sola, che potrebbe funzionare, e portare finalmente la Chiesa nel XXI secolo. «Non dobbiamo cambiare i contenuti, ma la forma»: e quale modo migliore per farlo – e per favore un favore all’amico Mario – di fondare la squadra olimpica del Vaticano, capitanata da Tommaso e allenata da Mario?
100 metri dal Paradiso, secondo film di Raffaele Verzillo dopo animanera, si regge su un’idea ambiziosa: coniugare epica sportiva, etica familiare e spiritualità in una favola moderna e virata decisamente in commedia “all’italiana”, a base di equivoci, macchiette e caste storie d’amore. È tutto molto classico nella forma e nei riferimenti cinematografici: due protagonisti molto diversi tra loro ma legati da una grande amicizia, un colorato cast di contorno, un approccio quasi da road movie, visto che il secondo atto (quello in cui vengono reclutati gli atleti) si svolge in giro per il mondo, tra Ciad e Colombia, in cerca di preti e suore con un passato sportivo. È il viaggio a contare, più che la meta, fin troppo scontata (indovinate voi se la squadra vaticana si qualifica o meno): il “pellegrinaggio” permette al prete di città di venire a contatto con curati di campagna e missionari dal cuore d’oro, a voler dimostrare che la Chiesa non è solo sfarzo ostentato.
L’aspetto migliore della vicenda è l’alchimia tra angelo e diavolo, tra Mario (Jordi Mollà, che recita in italiano ma viene inspiegabilmente ridoppiato) e padre Angelo (Domenico Fortunato). Quello peggiore è la realizzazione, tra macchiette che sembrano uscite da Boris (come il rappresentante di saponi che fa capolino ogni tanto per dire la sua battuta e poi sparire), battute trite basate sulla contrapposizione tra sacro e profano e una recitazione generalmente mediocre. Spicca Giulia Bevilacqua nei panni della sorella di Angelo, sfogo sentimentale per il deluso Mario ma anche unico personaggio caratterizzato senza essere caricaturale, e il bravo Tommaso/Lorenzo Richelmy, il cui basso profilo paradossalmente emerge in mezzo a un cast sempre sopra le righe.
Mi piace
La leggerezza con cui si affronta un argomento delicato.
Non mi piace
La recitazione, che si divide tra eccessi di macchiettismo e amatorialità.
Consigliato a chi
Vuole una commedia leggera e innocua. E a chi pensa che la Chiesa debba trovare un modo efficace per modernizzarsi.
Voto: 2/5
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